Mussari e Vigni condannati a 7 anni di carcere per Monte Paschi Siena

08/11/2019 di Redazione

La vicenda Monte Paschi Siena e delle perdite dell’istituto in seguito all’acquisizione di Banca Antonveneta ha un primo punto fermo per quanto riguarda la vicenda processuale: la condanna a 7 anni e 6 mesi di carcere per Giuseppe Mussari, a 7 anni e 3 mesi per Antonio Vigni e quella a 4 anni e 8 mesi per Gian Luca Baldassarri, tutti vertici dell’istituto bancario toscano all’epoca dei fatti.

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Monte Paschi Siena, la condanna dei vertici

A vario titolo, per gli imputati condannati, sono stati contestati i reati di manipolazione del mercato, falso in bilancio, falso in prospetto e ostacolo agli organi di vigilanza, quest’ultimo in parte prescritto.

In seguito alle perdite di circa 10 miliardi di euro, avvenute nel 2008, il Monte Paschi di Siena aprì la sua crisi, che causò un effetto domino sulle principali attività economiche e culturali della città toscana. I tre vertici della banca di Siena, tuttavia, non sono stati gli unici a pagare: anche alcuni istituti stranieri sono stati raggiunti da sentenze di condanna. È il caso di Deutsche Bank AG e Deutsche Bank London Branch, interessate dalla confisca complessiva di 64 milioni di euro e da una multa di 3 milioni di euro.

Monte Paschi Siena, la storia

Si tratta del primo esito di un vero e proprio maxiprocesso, iniziato ormai tre anni fa, nel 2016, e che ha visto coinvolti almeno 1300 soggetti, tra parti civili costituitesi in giudizio. Non si tratta dell’unico filone d’inchiesta: il 31 ottobre 2014 il Tribunale di Siena, in primo grado, per ostacolo alla vigilanza aveva condannato a 3 anni e 6 mesi di reclusione ciascuno e con l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, di Giuseppe Mussari, Antonio Vigni e Gialuca Baldassarri, (ex capo dell’area finanza Mps) per ostacolo all’Autorità di vigilanza. La sentenza della Corte d’Appello del 2017, invece, aveva assolto sempre Giuseppe Mussari, Antonio Vigni e Gianluca Baldassarri dalle stesse accuse, pronunciamento che era stato successivamente confermato anche dalla Corte di Cassazione.

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