Michele Santoro: «Continuerò a fare quello che gli altri giornali non fanno» | ESCLUSIVA

Il lancio dell’applicazione di Servizio Pubblico e l’evento al Teatro Piccolo Eliseo, a un anno dall’inizio della guerra in Ucraina. L'intervista esclusiva a Michele Santoro

24/02/2023 di Gianmichele Laino

Nella nuova redazione di Servizio Pubblico c’è il fermento tipico che accompagna i nuovi progetti. La frenesia per l’organizzazione dell’evento di questa sera, 24 febbraio, al Teatro Piccolo Eliseo di Roma, a un anno dall’inizio della guerra in Ucraina. La consapevolezza di lanciarsi in una nuova avventura editoriale, nel momento esatto in cui è stato premuto il tasto “pubblica” del primo contenuto di benvenuto proposto dalla nuova app di Servizio Pubblico. Inizia quella che Michele Santoro ha definito la sua “spedizione dei Mille”.

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L’intervista a Michele Santoro sull’app di Servizio Pubblico

Nel video di presentazione, ha scelto di ricordare la sua prima iniziativa editoriale, un giornalino scolastico censurato da un preside dispotico. Oggi, l’applicazione serve a contrastare un altro despota. Quell’algoritmo delle grandi aziende di Big Tech che pretendono di indirizzarci sui contenuti da consumare quotidianamente. «Incontro tantissimi giovani che mi chiedono come si fa a diventare giornalista – racconta Michele Santoro a Giornalettismo -, rispondo quasi sempre che, rispetto a quando ho iniziato io, c’è stato un cambiamento importante: le tecnologie offrono delle possibilità che oggi non abbiamo. Io dovevo stampare quel giornale, dovevo anche venderlo e la mia scuola rappresentava l’unico mercato al quale rivolgermi. Quando il preside ti impediva la vendita classe per classe, di fatto, ti censurava il giornale e lo bloccava. Oggi, i ragazzi in un istituto possono mettersi insieme e far sentire la propria voce semplicemente usando le possibilità offerte dal web. Tuttavia, questa libertà è minore rispetto a quanto appare, perché l’algoritmo ti conduce a fare le cose in un certo modo. Se tu i contenuti non li elabori secondo le regole della viralità, l’algoritmo non ti premia. Ma la mia personale esperienza, dice che spesso l’algoritmo sbaglia: mi è capitato tante volte di pubblicare dei contenuti non costruiti secondo le regole che i social network suggeriscono e di avere ottimi risultati. Quindi, si pone un problema di democrazia nei social e di creatività: non posso avere un milione di followers su Facebook e poi essere costretto ad accettare di delegare completamente al social network la scelta su come distribuire un contenuto».

Passare dai “social al socialismo” è uno degli obiettivi del viaggio che parte dal Piccolo Teatro Eliseo di Roma e impone sicuramente una riflessione sulle nuove forme di capitalismo, rappresentate da Big Tech: «Oggi certi teorici osannati nel PD dicono che la classe operaia è scomparsa, che Marx è morto e che anche noi, che ci abbiamo creduto, non ci sentiamo troppo bene. Ma il capitalismo esiste ancora? Esiste eccome! In una forma oligopolistica e finanziaria. Non vedo, dunque, come faccia a non esistere la classe operaia. Per i social, noi siamo gli operai senza salario che lavorano gratuitamente per postare contenuti, per condividerli e far viaggiare questa fabbrica dell’algoritmo. E siamo espropriati del plusvalore che produciamo: anche i contenuti di noi autori sono valutati attraverso una monetizzazione ridicola per quello che facciamo. L’applicazione è anche un modo per ribellarsi a questo. È una spedizione dei Mille che parte a bordo di una piccola imbarcazione, che ha anche qualche buco di qua e di là, ma con la smisurata ambizione di diventare veramente indipendente, anche dai social, per creare una community che può usare i social ma può anche non usarli, che può elaborare le proprie idee senza essere condizionata dal premio che l’algoritmo dà».

Il contatto con i territori e con le persone che non si sentono rappresentate

Diventa importante, a questo punto, il contatto con la realtà fisica, la trasformazione della community in comunità e l’uscita dall’ambiente virtuale. Il progetto di Servizio Pubblico, che unisce app e associazione, vuole andare nei luoghi che soffrono da sempre un problema di rappresentanza: «Dobbiamo confrontarci con i temi che le persone in carne e ossa ci pongono – continua Michele Santoro -. Questo tema del ritorno reale sta diventando molto importante nel mondo. Ci sono i primi gruppi avanguardistici che spengono i social per tornare a incontrarsi: noi dobbiamo sfruttare questa navicella per fare qualcosa di simile senza scadere in una ribellione luddistica, con una navigazione intelligente che ci faccia riscoprire l’importanza del corpo, del fisico».

L’incontro, ovviamente, avviene sul territorio, ma trova una sua estensione anche in una particolare sezione dell’applicazione di Servizio Pubblico, quella dedicata ai sondaggi e alla partecipazione. Non una forma di ‘giornalismo militante’, definizione che a Santoro non è mai piaciuta, quanto un modo per selezionare gli argomenti e le proposte che uniscono: «Beppe Grillo, nelle fasi iniziali del suo movimento, diceva che bisognava capire che la comunicazione è politica. Aveva perfettamente ragione. La nuova politica deve partire dalla comunicazione. Per me hanno stufato i programmi politici che tutti scrivono, ricorrendo ai copia e incolla e che nessuno legge perché sono noiosissimi; mi piacerebbe, invece, fare un viaggio per incontrare quelli che sono i nodi reali intorno ai quali l’Italia deve prendere delle decisioni. Andare a Taranto, ad esempio, per far partire una forte riflessione insieme ai protagonisti di quella realtà, per capire quale deve essere la soluzione per quella acciaieria che non può continuare a uccidere, non può assolvere i responsabili di quegli omicidi, ma è – allo stesso tempo – importante dal punto di vista strategico per il nostro Paese e per l’occupazione. Ci vorrà qualche mese e, probabilmente, alla fine di questo viaggio, occorrerà fare un bilancio: o i partiti che ci sono apriranno le porte a nuovi protagonisti capaci di individuare soluzioni collettive, oppure saremo noi individuare il modo per far emergere una nuova leadership».

Non si può, dunque, non ritrovare un riferimento alla politica e a quel partito che non c’è su cui tanto si è scritto nei mesi scorsi a proposito dell’attività del giornalista. L’indizio, a ben guardare, stava già nel nome di Servizio Pubblico. «È un viaggio contemporaneamente informativo e politico – spiega Santoro -. Anche perché, attualmente, l’informazione in Italia è ostacolata dai partiti. Se non ci ribelliamo politicamente, non possiamo fare informazione. Se fra quattro mesi verrà fuori l’idea che è giusto fare un nuovo partito e che il suo potenziale non è quello di un ennesimo partitino, quelli che si sono messi in rete lo faranno. Se invece riusciremo a provocare una riflessione nei partiti che già esistono e spingerli a trasformarsi, l’applicazione sarà diventata comunque uno strumento di informazione importante».

I temi di Servizio Pubblico

Santoro spiega anche con che voce si esprimerà Servizio Pubblico: «Con una metafora ciclistica, io mi sono sempre definito un passista e non un velocista. Molto spesso, i filoni più importanti della mia attività li ho trovati pedalando a lungo e casualmente. Parto dal capire davvero a Taranto che succede, o che succede con lo sfruttamento dei braccianti a Foggia, o a Milano con i protagonisti della scientifica con le energie alternative. Voglio andare a Torino a chiedere agli operai perché non contano più nulla. Vedremo pedalando quali sono le forme che assumerà questa narrazione e ne valuteremo l’efficacia. La Treccani ricorda che sono l’inventore di un nuovo genere televisivo con Samarcanda, ma altre forme di innovazione che ho proposto, invece, non sono celebrate. Eppure sono importanti. Le ho realizzate insieme a quelle persone che sono miei partner in questa avventura. Rai per una notte, Tutti in piedi: sono state ribellioni al broadcasting e ai network. Erano state delle esperienze che avrebbero dovuto attrarre imprenditori coraggiosi che, invece, in Italia restano volentieri imbrigliati nelle logiche di sistema. Gattopardi, che si muovono all’ombra dei partiti e delle grandi tendenze mondiali. Abbiamo dato vita a sperimentazioni indipendenti tra le più importanti in Europa e nessuno le ha celebrate, anche se i numeri parlavano chiaro. All’epoca venivo da una esperienza interna alla Rai e avevo costruito un gruppo di professionisti molto validi, che adesso lavorano in tutte le reti. Aldo Grasso li definisce per invecchiarmi “nipoti di Santoro”, ma figli o nipoti fa lo stesso. Questa volta lavorerò con giovani ancora acerbi ed è uno dei motivi che mi galvanizzano di più. Il pubblico dovrà avere la pazienza e saper guardare al futuro, anche perché saremo ostacolati e non aiutati dai media mainstream. Non siamo di certo andati a fare un monologo a Sanremo: dobbiamo partire da quel che abbiamo. Ed è comunque una buona base».

L’app è pronta e sarà migliorata. I contenuti, tuttavia, non seguiranno la corrente. Non in direzione ostinata e contraria (che è anche una citazione piuttosto inflazionata). Piuttosto nelle cose che il giornalista esperto riesce a vedere, lì dove gli altri sono miopi: «Quando ho cominciato, il mio diktat era “farò ciò che i giornali non fanno” – conclude Santoro -. Oggi, tutti i media e gli operatori della comunicazione restano nel flusso. È chiaro che anche il pubblico è condizionato e a sua volta condiziona: quando vuoi creare una nuova abitudine di consumo sei costretto a nuotare controcorrente. La pace e la guerra in Ucraina sono l’onda che può spingere la nostra piccola nave che ha degli elementi elettronici a bordo nuovi e funzionanti. Per essere originale devi essere bravo; e per diventare bravo hai bisogno di un po’ di tempo. Ma la spedizione dei Mille è partita e se arriviamo in Sicilia, è fatta».

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