I media della destra americana attaccano Simone Biles per aver scelto la sua salute mentale

Gli attacchi a Simone Biles per essersi ritirata sono frontali, duri e fatti utilizzando termini veramente inappropriati

28/07/2021 di Ilaria Roncone

Tra le notizie che hanno fatto maggiormente scalpore in queste Olimpiadi di Tokyo 2020 c’è sicuramente il ritiro di Simone Biles. Se in un primo momento si parlava di una scelta obbligata per un infortunio alla caviglia, la stessa atleta ha deciso di parlare della vera ragione che l’ha spinta a non gareggiare: la sua salute mentale. Un tema che negli ambienti sportivi – ancora di più a livelli alti come quelli che si raggiungono nella massima competizione mondiale delle Olimpiadi – non viene praticamente nemmeno nominato.

Almeno fino ad oggi. La campionessa statunitense dalla quale ci si aspettava l’oro ha deciso di ritirarsi per prendersi cura della sua salute mentale e dare priorità al suo benessere, ammettendo che lo sport che ha guidato la sua intera esistenza non la fa sentire più bene come prima. «Sto partecipando per gli altri, più che per me», ha affermato in conferenza stampa, comunicando una decisione per la quale in molti hanno espresso solidarietà ma i media americani criticano Simone Biles in maniera durissima.

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Media americani criticano Simone Biles per la sua decisione

Per media americani, occorre specificarlo, intendiamo quelli sovranisti e spostati a destra. Non sono pochi gli editorialisti e i conduttori americani anche molto celebri che hanno giudicato la giovanissima in maniera inqualificabile. Mettendo in dubbio, ovviamente, l’importanza della salute mentale e alludendo al fatto che sia stata utilizzata come alibi.

C’è Piers Morgan – che ancora parla della questione su Twitter per rispondere alle tante critiche ricevute – che vede nelle dichiarazioni di Simone una scusa per non ammettere che ha gareggiato male. Addirittura è arrivato a dire che «i bambini hanno bisogno di modelli forti, non di queste sciocchezze». Anche Amber Athey sullo Spectator ha scritto un pezzo intitolandolo «Simone Biles è una perdente» riservandole, ovviamente, parole molto poco lusinghiere.

Sul sito The Federalist (portale di estrema destra) John Daniel Davidson si è lasciato andare al nazionalismo più sfrenato affermando che Biles avrebbe dovuto gareggiare «per il tuo Paese, per tutti gli americani». Il conduttore di talk radiofonici Charlie Kirk ha definito l’atleta «immatura, sociopatica egoista» e – addirittura – «una vergogna per il suo Paese».

Quello che chi attacca l’atleta non capisce

La salute mentale conta e ha un peso rilevante, questo è ovvio per tutte le persone che hanno il coraggio di ammetterlo. La narrazione tossica che vede gli atleti come eroi nazionali, salvatori della patria, obbligati a gareggiare ed essere i migliori “no matter what” deve finire e se i media conservatori Usa non se ne sono accorti, tanti altri invece lo stanno capendo.

La salute mentale nello sport non sarà più un tabù e il peso che ha per chi gareggia è stato chiarito anche da alcuni atleti che hanno espresso solidarietà alla ginnasta. Il nuotatore Michael Phelps non ha esitato ad appoggiarla parlando con NBC: «Spero che questa sia un’opportunità per noi di fare emergere ancora di più il tema della salute mentale. È molto più grande di quanto possiamo immaginare». Parole che lasciano intendere l’immensa pressione che gli sportivi subiscono a determinati livelli. Pressione che, per forza di cose, non può non avere effetti sulla salute mentale.

(Immagine copertina: foto IPP/zumapress)

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