«Berlusconi aveva un disegno, i social no», l’intervista a Massimo Bernardini

Con il giornalista, autore e conduttore di Tv Talk abbiamo parlato del ruolo dell'ex Cavaliere nell'evoluzione della tv generalista. Con il trash utilizzato come volano per creare un'alternativa alla Rai

13/06/2023 di Enzo Boldi

La figura imprenditoriale di Silvio Berlusconi ha rivoluzionato il mondo della televisione in Italia. La sua discesa in campo nel mondo dell’infotainment ha portato a un’evoluzione del modello fino a quel momento acquisito da parte del cittadino-telespettatore. Le televisioni private, infatti, hanno iniziato a fare concorrenza al servizio pubblico offrendo al destinatario finale seduto davanti al piccolo schermo quel varco inesplorato che oggi potremmo definire “trash”. Ovvero quei contenuti che, fino a quel momento, erano rimasti al di fuori dei concetti televisivi. Di tutto ciò abbiamo parlato con il giornalista, autore e conduttore televisivo di Tv Talk Massimo Bernardini, che ci ha parlato del ruolo fondamentale Berlusconi in questo cambio di paradigma.

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«Il problema per la tv commerciale è sempre stato quello di massimizzare gli ascolti – ha spiegato Massimo Bernardini ai microfoni di Giornalettismo -. Ieri, cercando delle cose che mi ridessero l’inizio di Berlusconi, nello sterminato archivio di Radio Radicale ho trovato la registrazione di un dibattito del 1984 sulle tv private. Partecipava anche l’ex Cavaliere, insieme a tante altre personalità e sentire le sue idee e le sue ambizioni smisurate facevano capire quanto l’arrivo di questo imprenditore del settore televisivo è stato uno scossone micidiale».

Massimo Bernardini su Berlusconi e la tv commerciale

L’ex Presidente del Consiglio, dunque, aveva intravisto quel varco in cui inserirsi. Partendo dalla vendita di spazi pubblicitari per poi passare a quelle dinamiche televisive che hanno cambiato i paradigmi concettuali della televisione tra gli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta. E Massimo Bernardini su Berlusconi ripercorre gli esordi, l’inizio di quelle trasmissioni che oggi potremmo etichettare – con un termine il cui significato ormai è stato sdoganato – come “trash”: «Lui era molto consapevole della forza della Rai in quel momento, ma ambiva a ritagliarsi un posto. Oggettivamente, solo massimizzando gli ascolti lo poteva ottenere. E per massimizzarli devi interpretare la pancia del pubblico. Per questo il trash gli è servito. Peraltro un trash interpretato dalle menti più spudorate dell’intellighenzia di sinistra come Carlo Freccero e Antonio Ricci: due dioscuri della prima avventura di Berlusconi che è interessante tenere presenti, perché sono due anime situazioniste, profondamente anti-sistema che pure sono servite a Berlusconi per inventare il suo neo-trash. I social non hanno un disegno, lui lo aveva. Lui voleva spaccare il sistema italiano e ne aveva diritto, perché l’Italia doveva pensare alla tv commerciale, doveva lasciare spazio a nuovi soggetti. E il trash gli è servito anche per quello».

Il tentativo di reazione della Rai

Dunque, nuovi princìpi alla base delle dinamiche televisive, con il monopolio della televisione pubblica che è andato via via dissolvendosi. Ma il percorso è stato lunghissimo, ci ha spiegato Massimo Bernardini: «Berlusconi, oggettivamente, ha modernizzato la tv italiana. Nel senso che ha fatto entrare nuovi giocatori nell’etere. In quel dibattito dell’84, per esempio, c’era ancora il mitico Piero Ottone (già ex direttore del Corriere della Sera) che in quel momento stava rappresentando la Rete4 di Mondadori, che era molto lontano dal diventare di Berlusconi. Lui è uno di quelli che ha fatto in modo che entrassero nella comunicazione nuovi soggetti in campo. Nel tempo, questa cosa ha avvantaggiato anche molti dei suoi nemici. Ha messo in moto un nuovo sistema economico-mediatico, ha creato nuovi spazi di investimento pubblicitario in un sistema bloccato, monopolistico, in cui la Rai decideva lei chi faceva crescere. Aveva un potere smisurato vendendo gli spazi pubblicitari. È stato un enorme volano di ricchezze e di lavoro».

E qui scatta una riflessione del giornalista, autore televisivo e conduttore di Tv Talk: «Semmai, il tema è: questo ha creato una nuova televisione italiana migliore di quella che c’era prima? O più culturalmente e linguisticamente interessante? Queste sono domande aperte, perché per certi aspetti sì e per altri no. Però doveva nascere la tv commerciale in Italia. L’aspetto problematico dell’arrivo di Berlusconi dentro lo scenario italiano l’ho visto in quel che accadde tra gli ’80 e i ’90, quando la politica decide – in questo rapporto strettissimo che c’era tra De Mita e Biagio Agnes – che la Rai debba battere Berlusconi. Ci riesce, ma a dei costi in termini di identità del servizio pubblico molto costosi. Per dirla più banalmente, la Rai per vincere ha seguito Berlusconi sul suo stesso terreno e poco alla volta si è snaturata. Quello è il problema vero, quello esploso in quegli anni, quando lui ormai era un soggetto in campo molto importante e una certa politica decide che deve fermarlo a tutti i costi. E, tra l’altro, non ci riesce. Quello che ha perso è stata la qualità del servizio pubblico che, in realtà, entra nella mentalità di Berlusconi. Ovvero massimizzare gli ascolti è diventato l’obiettivo. Cosa che non può avere il servizio pubblico, nel senso che gli ascolti sono segno di salute, ma non può dire chi è pagato dal cittadino “il mio scopo è massimizzare gli ascolti”, perché è una stortura radicale».

Quali sono oggi i problemi di Rai e Mediaset

Tra passato remoto e quello più recente, ora la televisione generalista deve affrontare le problematiche del presente e i riflessi su quel che sarà il futuro. Perché se, come sottolineato da Bernardini ai microfoni di GTT, Berlusconi ha avuto un ruolo fondamentale nel cambio dei paradigmi dell’offerta televisiva, l’oggi e il domani sono due spazi temporali contraddistinti da enormi punti interrogativi: «Ormai Rai e Mediaset hanno lo stesso problema: hanno entrambe un pubblico vecchio. Le giovani generazioni non brucano più nella televisione generalista che ancora è in grande salute. Perché? Perché questo è un Paese per vecchi. Avendo noi una quota di giovani così piccola – siamo il Paese a più bassa natalità da decenni in Europa – vuol dire anche che abbiamo una tv generalista vegeta perché abbiamo anziani che arrivano sempre più a tarda età. Gli over 65 è oggi un pubblico ambito da entrambe. All’inizio, invece, le reti berlusconiane erano ad appannaggio dei più giovani, erano la voce di una nuova generazione. Oggi, di fatto, non è più così. La cosa paradossale che vediamo oggi guardando gli ascolti è che oggi il vero patrimonio delle reti Mediaset è il Centro-Sud, mentre il successo iniziale di Berlusconi è stato sfondare con il pubblico del Nord. Un cambio radicale di paradigma. Io credo che gli effetti veri della crisi li vedremo quando queste vecchie generazioni italiane, poco alla volta se ne andranno. Lì la tv generalista perderà presa sempre di più».

(foto IPP/Mario Romano)

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