Il retroscena: cosa c’è dietro al mancato accordo tra Meta e SIAE

La rimozione di migliaia di brani dai cataloghi di Instagram e Facebook è solo la punta dell'iceberg della vicenda

17/03/2023 di Enzo Boldi

Tra le righe dei due comunicati stampa sul mancato accordo tra SIAE e Meta, si può ricostruire la cornice all’interno della quale si è generato questo caos generale che, dal pomeriggio di ieri, ha portato alla cancellazione di migliaia di tracce musicali dai cataloghi e dalle librerie di Facebook e Instagram. Perché la discussione tra le due società è andata avanti per diverso tempo, prima di deflagrare nel primo pomeriggio di giovedì 16 marzo. Si parla di royalties, ma soprattutto di come effettuare un calcolo per poter procedere con un contratto equo tra le due realtà.

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Per analizzare nelle pieghe di questo braccio di ferro – ricordando che, trattandosi di accordi di tipo commerciali, lo strappo potrebbe essere ricucito riaprendo il tavolo delle trattative -, partiamo da alcuni dettagli contenuti all’interno del comunicato stampa con cui SIAE ha accusato Meta di aver preso una decisione unilaterale. Nello specifico, facciamo riferimento al seguente passaggio:

«A SIAE viene richiesto di accettare una proposta unilaterale di Meta prescindendo da qualsiasi valutazione trasparente e condivisa dell’effettivo valore del repertorio. Tale posizione, unitamente al rifiuto da parte di Meta di condividere le informazioni rilevanti ai fini di un accordo equo, è evidentemente in contrasto con i principi sanciti dalla Direttiva Copyright per la quale gli autori e gli editori di tutta Europa si sono fortemente battuti».

Tra le righe di uno spartito che suona una melodia a cui Meta non ha risposto. Perché la holding di Menlo Park si è limitata a dirsi stupita delle difficoltà di questa trattativa e del mancato accordo perché

«Crediamo che sia un valore per l’intera industria musicale permettere alle persone di condividere e connettersi sulle nostre piattaforme utilizzando la musica che amano».

SIAE fa riferimento a dettagli di tipo commerciale per definire un accordo equo (a livello economico), mentre Meta parla di visibilità e null’altro.

Mancato accordo SIAE-Meta, i retroscena

Ed è proprio quello il cuore della contesa commerciale. Perché il fattore meramente economico è secondario, ed è solo la conseguenza di ragionamenti molto più ampi e in linea con quanto disposto dalla direttiva Copyright approvata dall’Europa nel 2014. Le differenze che hanno portato al mancato accorso SIAE-Meta stanno, dunque, nell’approccio con cui ci si è seduti al tavolo delle trattative. Da una parte, infatti, c’è la Società Italiana Autori ed Editori che ha chiesto a Menlo Park di fornire i dati economici dei ricavi derivanti dall’utilizzo di brani sotto la sua egida da parte delle piattaforme Instagram e Facebook; dall’altra, invece, la holding di Zuckerberg ha deciso di mantenere quella tipologia di trattativa con cui ha chiuso gli accordi con altri 150 Paesi.

Di cosa stiamo parlando

Per entrare ancor più nello specifico, proviamo a calarci nel sistema di calcolo utilizzato per stringere (o rinnovare) un accordo di questo tipo. Innanzitutto, la base si contrattazione utilizzata da Meta parte da un concetto che non piace a SIAE: i ricavi delle royalties non vengono calcolati sul numero di “visualizzazioni” di un determinato brano utilizzato come colonna sonora di un reel o di una storia su Instagram, ma sul quante volte quella canzone viene utilizzata per produrre un contenuto social. Ed è qui che, ovviamente, i numeri cambiano. Proviamo a fare un esempio, citando fenomeni estremi. Da una parte c’è Chiara Ferragni che utilizza una porzione di una canzone di Fedez per una IG Story e quella Story fa 10 milioni di visualizzazioni, ma quella stessa canzone viene utilizzata solo da lei, solo quella volta; dall’altra parte ci sono due utenti “x” e “y” che utilizzano un brano (di quelli presenti nella libreria di Instagram) di un artista sconosciuto e le loro Stories non vengono viste da nessuno: ecco, secondo le modalità di calcolo di Meta, le royalties di questo secondo caso sono più alte rispetto al primo.

Per Menlo Park, dunque, contano gli utilizzi e non le visualizzazioni. Un concetto ben diverso rispetto al mercato musicale digitale che, per esempio, calcola le royalties da versare agli artisti-autori in base al numero di ascolti (come nel caso di Spotify). E l’assenza di questo dato, secondo SIAE, porta a una impossibilità di sedere al tavolo e concordare un accordo economico equo. Ma c’è di più: come evidenziato anche dal rapporto Cisac, non ci sono dettagli precisi sul peso dei social network sul mercato digitale della musica. Meta, infatti, non fornisce dati “verticali” nazionali. Dunque, tutto ciò ha portato a una situazione di stallo che ha provocato la cancellazione di migliaia di brani musicali da Instagram e Facebook.

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