Cosa c’è di vero (e cosa c’è di falso) nella storia dei mafiosi ai domiciliari per ‘colpa del Cura Italia’

Ha provocato molto stupore e irritazione la notizia della scarcerazione – per finire agli arresti domiciliari – di Francesco Bonura, condannato in via definitiva nel 2012 a 18 anni e 8 mesi di carcere con l’accusa di associazione mafiosa ed estorsione. L’uomo, 78 anni, era ‘ospite’ del carcere di Opera (in provincia di Milano) per espiare la sua pena, ma ieri gli è stato consentito di tornare nella sua Palermo. Matteo Salvini, commentando questa notizia a Fuori dal Coro (su Rete 4) e sui sui canali social, ha parlato di mafiosi ai domiciliari perché questo è scritto sul decreto Cura Italia.

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Partiamo raccontando il personaggio Francesco Bonura. Si tratta di un uomo considerato il colonnello di Provenzano e figura di spicco del mandamento dell’Uditore. Nel 2012 era stato condannato in via definitiva a 18 anni e otto mesi di carcere per associazione mafiosa ed estorsione, finendo in regime di 41-bis. Fino a ieri, quando la decisione del tribunale di Sorveglianza ha aperto per lui le porte del carcere di Opera per un suo ritorno a Palermo. Da questa storia si è scatenata la polemica sui mafiosi ai domiciliari per decreto.

Mafiosi ai domiciliari, cosa c’è scritto nel Cura Italia

Ora, dopo aver sinteticamente ricostruito la vicenda, occorre andare a leggere integralmente quanto scritto nel decreto Cura Italia. L’articolo 123, intitolato Disposizioni in materia di detenzione domiciliare, recita:

1. In deroga al disposto dei commi 1, 2 e 4 dell’articolo 1 della legge 26 novembre 2010, n. 199, dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 30 giugno 2020, la pena detentiva è eseguita, su istanza, presso l’abitazione del condannato o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, ove non sia superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, salvo che riguardi:
a) soggetti condannati per taluno dei delitti indicati dall’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni e dagli articoli 572 e 612-bis del codice penale;
b) delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai sensi degli articoli 102, 105 e 108 del codice penale;
c) detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare, ai sensi dell’articolo 14-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, salvo che sia stato accolto il reclamo previsto dall’articolo 14-ter della medesima legge;
d) detenuti che nell’ultimo anno siano stati sanzionati per le infrazioni disciplinari di cui all’articolo 77, comma 1, numeri 18, 19, 20 e 21 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230;
e) detenuti nei cui confronti sia redatto rapporto disciplinare ai sensi dell’articolo 81, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, in quanto coinvolti nei disordini
e nelle sommosse a far data dal 7 marzo 2020;
f) detenuti privi di un domicilio effettivo e idoneo anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato.
2. Il magistrato di sorveglianza adotta il provvedimento che dispone l’esecuzione della pena presso il domicilio, salvo che ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura.
3. Salvo si tratti di condannati minorenni o di condannati la cui pena da eseguire non e’ a superiore a sei mesi e’ applicata la procedura di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici resi disponibili per i singoli istituti penitenziari.
4. La procedura di controllo, alla cui applicazione il condannato deve prestare il consenso, viene disattivata quando la pena residua da espiare scende sotto la soglia di sei mesi.
5. Con provvedimento del capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, d’intesa con il capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, adottato
entro il termine di dieci giorni dall’entrata in vigore del presente decreto e periodicamente aggiornato e’ individuato il numero dei mezzi elettronici e degli altri strumenti tecnici da rendere disponibili, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, che possono essere utilizzati per l’esecuzione
della pena con le modalita’ stabilite dal presente articolo, tenuto conto anche delle emergenze sanitarie rappresentate dalle autorita’ competenti. L’esecuzione del provvedimento nei confronti dei condannati con pena residua da eseguire superiore ai sei mesi avviene progressivamente a partire dai detenuti che devono scontare la pena residua inferiore.
6. Ai fini dell’applicazione delle pene detentive di cui al comma 1, la direzione dell’istituto penitenziario puo’ omettere la relazione prevista dall’art. 1, comma 4, legge 26 novembre 2010, n. 199. La direzione e’ in ogni caso tenuta ad attestare che la pena da eseguire non sia superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, che non sussistono le preclusioni di cui al comma 1 e che il condannato abbia fornito l’espresso consenso alla attivazione delle procedure di controllo, nonche’ a trasmettere il verbale di accertamento dell’idoneita’ del domicilio, redatto in via prioritaria dalla polizia penitenziaria o, se il condannato e’ sottoposto ad un programma di recupero o intende sottoporsi ad esso,
la documentazione di cui all’articolo 94, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni.
7. Per il condannato minorenne nei cui confronti e’ disposta l’esecuzione della pena detentiva con le modalita’ di cui al comma 1, l’ufficio servizio sociale minorenni territorialmente competente in
relazione al luogo di domicilio, in raccordo con l’equipe educativa dell’istituto, provvedera’, entro trenta giorni dalla ricevuta comunicazione dell’avvenuta esecuzione della misura in esame, alla redazione di un programma educativo secondo le modalita’ indicate dall’articolo 3 del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121, da sottoporre al magistrato di sorveglianza per l’approvazione.
8. Restano ferme le ulteriori disposizioni dell’articolo 1 della legge 26 novembre 2010, n. 199, ove compatibili.
9. Dall’attuazione del presente articolo non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono alle attivita’ previste mediante utilizzo
delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

La realtà dei fatti

Il tema dei mafiosi ai domiciliari si riassume in questa lunga sequela di commi all’interno dell’articolo 123 del decreto Cura Italia. Si fa riferimento al leggi e codice penale. Sta di fatto che il burocratese ha necessità di essere sintetizzato. E proviamo a farlo ripercorrendo le tappe. Lo scorso 21 marzo, quattro giorni dopo la pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale, il Dap (Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria) ha chiesto ai direttori delle strutture penitenziarie di fornire l’elenco dei vari detenuti, tra età e stato fisico. Da qui è partita la vicenda dei mafiosi ai domiciliari.

Detto questo, occorre analizzare il primo comma dell’articolo 123 del decreto Cura Italia. Nel testo, infatti, si fa esplicito (con i punti a e c) a quelle condanne a cui non viene concessa la deroga e che, quindi, non possono usufruire degli arresti domiciliari. Si fa riferimento ai condannati per «per taluno dei delitti indicati dall’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975». Oppure, questo dovrebbe essere il casus belli che ha scatenato la polemica dei mafiosi ai domiciliari, «detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare, ai sensi dell’articolo 14-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, salvo che sia stato accolto il reclamo previsto dall’articolo 14-ter della medesima legge». L’articolo a cui si fa riferimento è quello di associazione mafiosa. Queste sono le linee guida contenute nel decreto Cura Italia.

(foto di copertina: da Pixabay)

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