Guai a dire data di morte: i dubbi e le perplessità sull’AI che la prevede

Cosa sappiamo fino a questo momento del modello Life2Vec, che - tuttavia - rischia di restare secretato a lungo

04/01/2024 di Gianmichele Laino

Si parla di AI sociologica. Per il momento non è altro che questo. Ma un domani potrebbe trasformarsi in uno strumento con delle conseguenze sui comportamenti delle persone, condizionandone traiettorie di vita, abitudini quotidiane e persino predisposizione alle malattie. Un modello di intelligenza artificiale che è stato studiato dalla DTU, dall’Università di Copenaghen, dall’ITU e dalla Northeastern University negli Stati Uniti e che si chiama Life2Vec potrebbe dare la possibilità agli utenti di fare previsioni sulla propria vita, comprese quelle su una ipotetica data di morte. Il tutto incrociando i dati legati alle abitudini, al lavoro svolto, ai successi o alle delusioni ottenute nel corso della carriera, alla storia clinica del soggetto che viene di volta in volta analizzato. Life2Vec si propone di essere uno strumento rivoluzionario che unisce alcuni dati sicuri (quelli, per esempio, che riguardano la storia medica di una persona, le azioni che ha compiuto fino al momento dell’analisi) insieme a dei fattori casuali. Insomma, vorrebbe riprodurre esattamente quella che è la nostra vita quotidiana, con la sua combinazione di eventi certi e di quello che correntemente chiamiamo destino.

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Cos’è davvero Life2Vec

Innanzitutto, però, dobbiamo sgombrare il campo da alcune ambiguità che si sono venute a generare in quest’ultimo periodo, da quando in ambito accademico è iniziato a circolare lo studio che sta provando a spiegare il meccanismo di funzionamento del modello Life2Vec. Non si tratta dello «strumento di intelligenza artificiale che prevede la morte delle persone», come qualche ricostruzione mediatica un po’ troppo spinta in avanti vorrebbe far credere. Germans Savcisens, che guida il team di ricercatori, non sta facendo altro che analizzare un grande quantitativo di dati, attraverso i quali fare una stima dei comportamenti umani (provando a prevedere azioni e reazioni). Nulla di ufficiale e nulla che sia pubblicabile: per funzionare, un modello del genere ha davvero bisogno di un quantitativo di dati incredibile, il cui trattamento non può di certo essere affidato alla selva oscura di internet, senza una opportuna regolamentazione e vigilanza.

Grandi quantità di dati, ma non possono essere ancora disponibili al pubblico

Per effettuare le sue stime, infatti, il modello Life2Vec avrebbe bisogno di una scansione dei dati relativi almeno agli ultimi dieci anni della storia clinica di un soggetto, ma anche delle sue dettagliate esperienze e abitudini lavorative relative al medesimo periodo di tempo. Inoltre, questi dati devono essere inseriti all’interno del contesto sociale di riferimento (e – dunque – devono essere confrontati con set di dati simili di altre persone). Per mettere appunto il modello che è oggetto dello studio, ad esempio, sono stati utilizzati i dati legati a sei milioni di cittadini danesi, compreso il loro accesso agli ospedali, le loro analisi e il livello di urgenza con cui sono stati trattati dal sistema sanitario nazionale (il tutto, per il momento, trattando i dati personali secondo gli schemi previsti dal GDPR).

Nulla di illegale, in ambito accademico. Ma la pubblicazione del modello potrebbe essere problematica nel momento esatto in cui questo strumento dovesse venire utilizzato da terzi. Per questo, come vedremo nel nostro monografico di oggi che approfondirà anche lo studio che è stato condotto in ambienti accademici, bisogna assolutamente diffidare da piattaforme – già pubblicate online – che, citando Life2Vec nel loro nome, offrono “predizioni” sulla data di morte delle persone.

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