Che differenza c’è tra un rivenditore autorizzato e le piattaforma di secondary ticketing? C’è una legge?

Il quadro normativo è abbastanza confuso e intricato e ha permesso, nel corso del tempo, alle piattaforme di secondary ticketing di evitare sempre le multe

11/08/2023 di Gianmichele Laino

Il fatto che un biglietto per un concerto possa essere acquistato online da più piattaforme non significa assolutamente che tutte queste piattaforme siano uguali tra di loro. Dobbiamo sempre considerare un quadro di fondo: che esistono delle piattaforme autorizzate alla vendita dei biglietti ed esistono delle altre piattaforme che, invece, propongono il servizio del cosiddetto secondary ticketing. Ovvero, la vendita di un biglietto – la maggior parte delle volte a un prezzo maggiorato – dopo che quest’ultimo era stato acquistato attraverso i canali ufficiali. È un tema, questo, che riguarda la musica, ma che ha investito in passato anche i grandi eventi sportivi di massa, quelli per cui è necessario pagare un biglietto. Le piattaforme di secondary ticketing, di per sé, non sono illegali. Tuttavia, le modalità con cui avvengono le compravendite al loro interno possono destare più di una perplessità. Sia perché, molto spesso, sono dubbie le azioni che portano uno o più soggetti a impossessarsi dei biglietti attraverso i canali ufficiali (si pensi al fenomeno dei bot e dei ticketbot, che è stato analizzato anche a proposito del caso dei concerti dei Coldplay, con tanto di lente d’ingrandimento dell’Agcom sul tema), sia perché rivendere un biglietto su una piattaforma di secondary ticketing non garantisce allo stato quella percentuale che invece sarebbe prevista attraverso i canali ufficiali.

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Esiste una legge sul secondary ticketing?

Facciamo subito una considerazione. Gli eventi ufficiali hanno la necessità, con il progresso tecnologico, di arrivare il più possibile agli utenti per poter vendere i propri biglietti. Per questo, oltre ai canali di vendita proprietari (pensiamo, ad esempio, alle squadre di calcio che sui propri siti e nei propri punti vendita mettono a disposizione del pubblico i biglietti per le partite), gli organizzatori degli eventi stringono partnership con diverse piattaforme online, per renderle rivenditrici ufficiali. Vendere attraverso queste piattaforme significa rispettare gli stessi principi della vendita diretta, tra cui anche il riconoscimento di una percentuale allo stato. In passato, le piattaforme vendevano in esclusiva i biglietti per un determinato evento. Poi, con l’allargamento del mercato, gli stessi eventi possono appoggiarsi a più piattaforme (in Italia, le tre principali sono TicketOne – che è anche la più “vecchia” sul mercato -, Ticketmaster e Vivaticket).

Tuttavia, è presente – ormai dal 2016 – il problema del secondary ticketing con piattaforme che non hanno stipulato alcun accordo con gli organizzatori di eventi sulle quali è possibile rivendere i biglietti per quegli stessi eventi. Queste ultime – nel caso del concerto dei Coldplay è stata citata Viagogo, ad esempio – ritengono di non essere direttamente responsabili per ciascuna transazione (utilizzando un po’ quello che i vertici delle piattaforme social dicono dei loro utenti quando le istituzioni chiedono di vigilare sui loro comportamenti). Le modalità con cui, tuttavia, arrivano i biglietti sulle piattaforme di secondary ticketing non sono sempre trasparenti. In passato, si è parlato di veri e propri accordi con gli organizzatori di concerti (che “piazzavano” un tot di biglietti su queste piattaforme per ottenere ricavi maggiori dalla loro vendita), oggi sono sempre più frequenti i riferimenti alle cosiddette ticketbot. Queste ultime permettono, tra le altre cose, di sfruttare le “anteprime” e le “prelazioni” di alcuni organizzatori di concerti per ottenere il numero più alto possibile di biglietti da rivendere sulle piattaforme di secondary ticketing.

Cosa succede secondo la legge sul secondary ticketing

Ma questa pratica è legale? L’Agcom ha più volte sanzionato le piattaforme di secondary ticketing che, tuttavia, hanno sempre presentato ricorso contro le sanzioni comminate. Viagogo, ad esempio, era stata multata (in più tranche) per una cifra complessiva di 40 milioni di euro. Tuttavia, su diversi provvedimenti, l’azienda ha fatto ricorso prima al TAR e poi al Consiglio di Stato, riuscendo in qualche modo a spostare in avanti la questione. Un nodo che, però, arriverà al pettine prima o poi: se già attualmente una normativa italiana – la legge n.232 del 2016 – prevede l’impossibilità per una piattaforma non autorizzata di rivendere titoli senza autorizzazioni, è vero anche che alcune sentenze della Cassazione e l’imminente ricezione del DSA prevedono che non è possibile per queste piattaforme fungere da semplice “vettore terzo”, scrollandosi di dosso le responsabilità degli utenti che le frequentano. Dunque, se fino a questo momento la zona grigia rispetto a questa attività era favorevole a chi la praticava, d’ora in avanti un quadro giurisprudenziale più chiaro dovrebbe scoraggiare questo tipo di iniziative.

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