Il ruolo dell’Agcom su quanto accaduto durante la vendita dei biglietti dei Coldplay

Sotto osservazione c'è sicuramente quanto accaduto a fine luglio, per le prenotazioni dei biglietti del 2024. Ma anche in passato i concerti dei Coldplay erano stati al centro di alcune attività di indagine

11/08/2023 di Gianmichele Laino

Non è la prima volta che accade. Probabilmente non sarà nemmeno l’ultima, visto il grave vuoto normativo che in Italia sussiste rispetto alla pratica delle rivendite dei biglietti per eventi ufficiali. Fatto sta che, proprio in concomitanza con altri concerti dei Coldplay (e di altri artisti, ovviamente), l’Agcom aveva avviato delle indagini rispetto ai sold-out sospetti (perché troppo rapidi) collegati alle date italiane del gruppo musicale britannico. L’anno scorso erano stati scoperti 26 rivenditori seriali: all’epoca, si trattava dell’acquisto di 15mila biglietti di 278 concerti, rivenduti a prezzi moltiplicati anche per 10. Tra questi concerti, c’erano anche quelli dei Coldplay che – quest’anno – hanno suonato a Napoli e a Milano. Una cosa che, probabilmente, è avvenuta anche nel mese di luglio, quando sono stati messi in vendita ufficialmente i biglietti per le quattro date della band a Roma.

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L’Agcom avrebbe evidenziato – come è stato riportato su ItalianTech – un ruolo importante dei servizi di bot che, essendo completamente automatizzati, riuscivano a garantirsi – a pochi minuti dall’apertura delle code per le vendite dei ticket – grandi quantitativi di biglietti da rivendere, successivamente, sulle piattaforme (che beneficiano del già citato difetto di legislazione) di secondary ticketing.

Le richieste di acquisto che possono essere fatte attraverso bot, secondo fonti dell’Agcom, sarebbero riconducibili per il 95% a territori russi o russofoni, soprattutto perché i nominativi di chi acquista i biglietti in questo modo sarebbero in cirillico (ma molto spesso non corrispondono a identità reali) e hanno metodi di pagamento che sono stati registrati in altri Paesi del mondo. Una situazione da monitorare, così come si è cercato di fare in passato.

Tuttavia, le grandi piattaforme di secondary ticketing (che hanno fondato un vero e proprio impero sulla pratica di rivendita online dei biglietti) negano che all’interno dei propri sistemi ci siano bot a rivendere biglietti. Spingono, infatti, per l’ipotesi che ciascuno degli utenti sia responsabile di ciò che mette in vendita e del prezzo a cui lo mette in vendita. E – in ogni caso – ritengono (nelle dichiarazioni rilasciate a Repubblica) che non sia corrispondente al vero la percentuale del 95% di utenti che si serve di piattaforme di secondary ticketing per la rivendita automatizzata di biglietti. Secondo le piattaforme, infatti, il loro intento è nobile: aiutare le persone impossibilitate ad andare a concerti che avevano acquistato con anticipo a rivendere il proprio biglietto e a evitare che quella postazione rimanesse vuota.

In ogni caso, ogni volta che Agcom arriva a indagare su fenomeni di questo tipo, è molto facile che venga emessa una sanzione. Contro cui, tuttavia, le piattaforme di secondary ticketing fanno ricorso perché non ravvisano una corrispondenza con la legge italiana. Se le premesse sono quelle che, un mese fa, hanno portato all’individuazione di 26 rivenditori seriali (che avrebbero messo insieme un profitto di quasi 2 milioni di euro), è verosimile che una indagine si possa aprire anche in questa circostanza. Ma il risultato cambierebbe poco: senza un intervento normativo, per chi rivende (acquistando in prima battuta attraverso i bot) resta sempre molto facile farla franca.

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