La bandiera bianca di Kindle sui magazine come tentativo di intaccare il modello pay degli editori

Importante riflettere anche sul rapporto (e sulla difficoltà) che, ultimamente, stanno avendo gli editori con i social network

20/03/2023 di Gianmichele Laino

Lo hanno detto un po’ tutti gli esperti del settore. Per quanto riguarda il mondo dell’editoria, il modello pay è l’unico business possibile per poter fronteggiare almeno due aspetti: il calo inevitabile degli utenti interessati al mondo delle news e, soprattutto, il minore impatto dei social network sulle pubblicazioni dei quotidiani. Un tempo, infatti, pubblicare un link su Facebook o su Instagram costituiva una importante fonte di traffico per i modelli editoriali. Adesso, invece, il valore dell’elemento link sulle pagine social è sceso tantissimo nel ranking dei contenuti a maggiore interazione che possono essere proposti sulle varie piattaforme. Per questo, stanno spopolando sempre di più le formule in base alle quali gli editori offrono i loro servizi – o la maggior parte dei loro servizi – a pagamento, attraverso abbonamenti, attraverso prodotti multimediali premium, attraverso l’iscrizione a newsletter, attraverso piattaforme specifiche che permettono di raggiungere la testata previo pagamento di una formula onnicomprensiva. Una di queste ultime soluzioni era rappresentata anche da Kindle Newsstand che, dal 9 marzo, ha iniziato la sua fase di dismissione: un piccolo colpo al cuore del modello paywall inseguito dai principali editori di tutto il mondo.

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Kindle e paywall: un piccolo ostacolo lungo la strada del nuovo modello editoriale

Perché la sfida che l’editoria deve affrontare si basa essenzialmente su un assunto: Big Tech, in passato, era visto come un possibile alleato, come un ideatore di piattaforme che, da sole, rappresentavano una sorta di vetrina per tutti i prodotti editoriali. Questi ultimi toccavano con mano l’illusione della democrazia nella diffusione del contenuto: non solo il brand storico, dal punto di vista della produzione delle news, aveva un posto al sole, ma anche il neonato progetto editoriale che, attraverso una comunicazione rapida e visualmente appetibile, era in grado di fare concorrenza anche a progetti più radicati.

Ora, però, Big Tech si è trasformato in competitor: ha acquisito il know-how dei vari progetti editoriali di cui si è servito e ha rilanciato, chiedendo agli utenti di restare il più possibile all’interno delle proprie piattaforme, senza le solite incursioni sui siti di proprietà degli editori. Vale lo stesso, a maggior ragione, per i prodotti di informazione più tradizionali. Abbonamenti che potevano essere sfogliabili anche attraverso dispositivi elettronici rappresentavano sicuramente un asset per tutti quei prodotti che ricercavano una nuova vita sulla rete.

Invece Big Tech, come in questo caso Amazon, ha fatto una scelta ben precisa: nell’ottica del risparmio a tutti i costi, dei tagli al personale, dell’eliminazione dei servizi accessori ha immaginato che l’accesso illimitato a più di un prodotto editoriale potesse essere scarsamente monetizzabile. L’abbonamento, del resto, veniva corrisposto in gran parte proprio agli editori tradizionali che, al massimo, pagavano alla piattaforma delle royalties (comunque abbastanza alte). Si chiude un rubinetto legato al pacchetto digital, si apre l’ennesima questione sul contenuto: non conta più la forma di distribuzione, ma soltanto la sua qualità.

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