Lo studio che mette in correlazione l’inquinamento al Nord e la diffusione del Coronavirus

19/03/2020 di Enzo Boldi

Con il tempo, finita questa pandemia globale, sarà possibile verificare con dati più certi tutti gli studi che si stanno susseguendo in questi giorni sul tasso di diffusione e i focolai del Coronavirus. In Cina, per esempio, si sostiene ci sia stata una correlazione tra inquinamento e Covid-19. Una teoria sostenuta anche dalla Sima (Società italiana medicina ambientale) che in un recente studio ha spiegato come i due fattori potrebbero essere strettamente collegati. Il tutto al netto della diffusione che, ora, si sta spostando al Sud anche dopo la ‘migrazione’ di ritorno da parte di alcuni cittadini che vivevano al Nord.

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Il position paper realizzato da Sima in collaborazione con le Università di Bologna e di Bari, ha come titolo: ‘Relazione circa l’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione di virus nella popolazione’. Nel documento, consultabile online sul sito ufficiale della Società italiana Medicina Ambientale, si fa riferimento ad alcuni studi precedenti sulla correlazione tra virus e inquinamento. E si sottolinea questo:

È noto che il particolato atmosferico funziona da carrier, ovvero da vettore di trasporto, per molti  contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus. I virus si “attaccano” (con un processo di coagulazione) al particolato atmosferico, costituito da particelle solide e/o liquide in grado di rimanere in atmosfera anche per ore, giorni o settimane, e che possono diffondere ed essere trasportate anche per lunghe distanze. Il particolato atmosferico, oltre ad essere un carrier, costituisce un substrato che può permettere al virus di rimanere nell’aria in condizioni vitali per un certo tempo, nell’ordine di ore o giorni. Il tasso di inattivazione dei virus nel particolato atmosferico dipende dalle condizioni ambientali: mentre un aumento delle temperature e di radiazione solare influisce positivamente sulla velocità di inattivazione del virus, un’umidità relativa elevata può favorire un più elevato tasso diffusione del virus cioè di virulenza.

Inquinamento e Covid-19, lo studio della Sima

Si parla, in termini generali, di studi effettuati in precedenza su altre forme virali e batteriche. Poi lo studio entra nello specifico della possibile correlazione tra inquinamento e Covid-19. I tutto basandosi su questi dati:

Per valutare una possibile correlazione tra i livelli di inquinamento di particolato atmosferico e la diffusione del COVID-19 in Italia, sono stati analizzati per ciascuna Provincia:
– i dati di concentrazione giornaliera di PM10 rilevati dalle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale (ARPA) di tutta Italia. Sono stati esaminati i dati pubblicati sui siti delle ARPA relativi a tutte le centraline di rilevamento attive sul territorio, considerando il numero degli eventi di superamento del limite di legge (50 μg m-3) per la concentrazione giornaliera di PM10, rapportato al numero di centraline attive per Provincia (n° superamenti limite PM10 giornaliero/n° centraline Provincia);
– i dati sul numero di casi infetti da COVID-19 riportati sul sito della Protezione Civile (COVID-19 ITALIA)

I dati incrociati

Incrociando tutti quei numeri, lo studio realizzato dalla Sima e dalle Università di Bologna e Bari ipotizzano, come già accaduto in passato, la correlazione tra inquinamento e Covid-19.

Si evidenzia come la specificità della velocità di incremento dei casi di contagio che ha interessato in particolare alcune zone del Nord Italia potrebbe essere legata alle condizioni di inquinamento da particolato atmosferico che ha esercitato un’azione di carrier e di boost. Come già riportato in casi precedenti di elevata diffusione di infezione virale in relazione ad elevati livelli di contaminazione da particolato atmosferico, si suggerisce di tenere conto di questo contributo sollecitando misure restrittive di contenimento dell’inquinamento.

Le zone del Nord Italia, infatti, sono quelle in cui c’è da anni maggiore concentrazione di polveri sottili. E proprio lì si sono registrati i primi due focolai italiani: dal Lodigiano a Vo’ Euganeo.

Le critiche

Ovviamente si parla di una correlazione e non di un rapporto causa-effetto. Si tratta, infatti, di un modello che si basa su numeri parziali – non quelli delle polveri sottili, ma quelli suo Covid-19 – e la possibilità di una reale esistenza di un rapporto causale tra le due questioni viene criticato anche dal professore Pierluigi Lopalco.

 

(foto di copertina: da Sima – Società italiana di medicina ambientale)

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