Gli studi che parlano dei nuovi malati di coronavirus dopo una prima positività

14/07/2020 di Redazione

Due studi pubblicati negli ultimi giorni, uno condotto da un team di ricerca italiano, l’altro condotto dal King’s College di Londra che deve ancora essere sottoposto a peer review. Entrambi parlano dell’immunità coronavirus e di cosa succede negli organismi delle persone che lo hanno contratto. Basta essere stati malati di Covid-19 per potersi considerare immuni dalla malattia? A quanto pare proprio no. Anzi, secondo lo studio italiano pubblicato sulla rivista BMJ Global Health dice che, in alcuni casi, può essere anche controproducente.

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Immunità coronavirus, gli studi che analizzano chi si è già ammalato

Partiamo proprio da qui, da questo studio pubblicato su BMJ. Analizzando i pazienti che si sono già ammalati e che sono risultati positivi al coronavirus, i ricercatori hanno messo in evidenza tutti i casi di re-infezione. Luca Cegolon, epidemiologo presso l’Ausl 2 di Marca Trevigiana di Treviso e primo firmatario del lavoro, ha anche sottolineato che il fatto di aver sviluppato alcuni anticorpi, in determinate circostanze, potrebbe favorire una nuova circolazione del virus nell’organismo.

«Non solo – ha detto – l’immunità acquisita non sembra proteggere dalle re-infezioni da coronavirus, ma può addirittura diventare un boomerang, alleandosi con il virus stesso durante infezioni secondarie per facilitarne l’ingresso nelle cellule bersaglio, sopprimere l’immunità innata e scatenare o amplificare una reazione infiammatoria importante dell’organismo».

Lo studio del King’s College invece parte da un altro presupposto. Gli anticorpi nell’organismo di pazienti positivi raggiungono un tetto massimo dopo tre settimane dalla prima comparsa dei sintomi, ma poi diminuiscono gradualmente. Nei mesi successivi all’infezione, secondo lo studio, soltanto il 17% di chi ha contratto il virus mantiene la stessa potenza di risposta immunitaria. Un dato decisamente basso se si considera la diffusione del coronavirus.

Immunità coronavirus e vaccino, la relazione

Sono entrambi campanelli d’allarme. Le ricerche, ovviamente, hanno bisogno di ulteriori conferme per poter essere verificate, ma in ogni caso offrono una traccia anche per quanto riguarda le vaccinazioni. Se la presenza di anticorpi non sembra funzionale a una immunizzazione, il meccanismo stesso del vaccino potrebbe perdere la propria efficacia. I ricercatori che hanno pubblicato la ricerca italiana sperano di essere smentiti: «Questo nostro studio potrebbe essere preso in considerazione da chi sta studiando il vaccino, ma speriamo che non si dimostri vero, perché altrimenti potrebbe condizionare in maniera molto importante la produzione di un vaccino».

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