Il giorno in cui il nonno chiese al nipote di «non scendere giù» se gli vuole bene

La condizione di «terrone fuori sede» è stata documentata da una ormai ampia letteratura social. Ed è uno stato d’animo – perché di questo stiamo parlando – che tutti conoscono, anche chi «terrone» non è. Una delle regole fondamentali di chi studia/lavora fuori è quella del rapporto con il nonno o con la nonna. Non importa quanto lontani si sia, non importa quanto tempo sia passato dall’ultima volta, per i nonni i nipoti dovrebbero sempre «scendere», tornare a casa, sospendere studi, serate tra amici, sessioni di lavoro. Natale, Pasqua, feste comandate, ma anche momenti random del ciclo annuale. I nipoti che «scendono» sono la gioia, il motivo per cui si mette su a pippiare il sugo, quello per cui si esce la tovaglia buona.

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Fuga dal nord, il giorno in cui anche i nonni chiedono ai nipoti di essere responsabili

Quando arrivi, c’è sempre quel timore del quando te ne vai? e quando sei ormai lontano c’è il frequente e martellante ritmo del ma quando torni? immancabile nelle lunghe e difficoltose telefonate, quelle in cui si combatte tra l’udito pessimo dei nonni e la quiete dei coinquilini o dei vicini di casa.

Ma il coronavirus ha inserito in questa letteratura – molte volte stereotipata, che noi stessi con questo pezzo siamo colpevoli di alimentare – una eccezione mai vista prima. Oggi, dopo le scene viste in centrale a Milano e un po’ in tutte le stazioni dei treni del nord Italia, per la prima volta in assoluto è il nonno a chiedere al nipote di non «scendere giù». Se davvero gli vuole bene.

Perché di questo, in realtà, stiamo parlando. Di una fuga precipitosa da un ignoto che ci spaventa, nel tentativo tutto egoistico di trovare la nostra comfort zone. Tra le mura domestiche, nei paesaggi che riteniamo incontaminati, con il cibo che consideriamo la nostra migliore medicina. Comprensibile, vista la fragilità del temperamento umano, soprattutto in momenti storici che non aiutano il self-control e che fanno dell’emotività la loro colonna vertebrale.

Fuga da nord, riflettere sulla priorità degli affetti: prima quello verso gli altri, meno quello verso se stessi

Tuttavia, bisogna essere razionali e mettere gli affetti in primo piano. La sicurezza nazionale in primo piano. Anche se si è giovani, anche se si è sani, bisogna considerare il fatto che tornare a casa non significa salvare se stessi. Ma mettere a rischio – un rischio concreto – gli altri. È il momento delle regole mai affrontate, della privazione della propria libertà. Per garantire quella altrui.

E non vale – lo abbiamo fatto fino a questo momento per suggestione, per un sentimento dell’animo vicino a chi scrive – per il flusso nord-sud. Ma anche per quello stesso furore irrazionale che, ad esempio, sta portando diverse persone delle ormai nuove zone rosse ad affollare le spiagge della riviera ligure, le montagne del Trentino e della Valle d’Aosta, le colline dell’Umbria, le coste della Versilia.

Nessuno, che sia un nonno o che sia il gestore di una struttura alberghiera, vi chiederà mai di non fare quello che state facendo. Per delicatezza, per affetto, per abnegazione verso l’altro. Per questo lo chiediamo noi per conto loro. Fermatevi. Fermiamoci. Più responsabile sarà il nostro modo di affrontare le prossime ore, meno durerà questa assurda emergenza. Cos’è qualche giorno di sospensione dietro alla finestra dell’appartamento in affitto o dello studentato che occupiamo rispetto alla bellezza di una vita libera. Con i nonni, con il sugo che pippìa, con i nostri luoghi di vacanza preferiti al massimo del loro splendore.

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