Che cos’è la «certificazione digitale delle notizie» che Fratelli d’Italia vorrebbe introdurre
Il concetto è stato espresso in un'intervista a Repubblica del deputato Federico Mollicone, presidente della commissione Cultura ed Editoria
08/01/2024 di Gianmichele Laino
C’è una combinazione micidiale per quanto riguarda il binomio politica e informazione. Questa è rappresentata dall’imminenza di una elezione (nel caso, l’elezione del parlamento europeo 2024) e l’insieme di fatti e circostanze (spesso legati anche a episodi imbarazzanti, come il colpo di pistola esploso a Capodanno nel corso di una festa a cui partecipava il sottosegretario Dalmastro e il deputato Emanuele Pozzolo) che riguardano il partito che è forza principale nel governo. Al di là della circostanza specifica, è successo anche in passato – con governi di diverso colore politico – che la tentazione fosse quella di dare una impronta ben specifica all’informazione, attraverso scelte nei palinsesti della Rai (che dalla politica dipende ancora tanto) o attraverso delle indicazioni più strutturali anche a livello normativo. Va letta in quest’ottica l’intervista rilasciata a Repubblica dal deputato di Fratelli d’Italia Federico Mollicone, presidente della commissione Cultura ed Editoria a Montecitorio. Quest’ultimo ha parlato della necessità di rilasciare una sorta di certificazione digitale rispetto alle notizie, nell’ottica di combattere le fake news.
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Le parole di Federico Mollicone e la loro origine
Ma da dove partono delle parole così ben indirizzate? Il problema della cosiddetta infodemia non è qualcosa con cui stiamo facendo i conti ormai da diverso tempo? Perché soltanto oggi, all’alba del 2024, è diventata una questione all’ordine del giorno nell’agenda politica di questa maggioranza di governo? I riferimenti di Federico Mollicone sono stati abbastanza chiari: c’è stato il caso di Pozzolo e del colpo di pistola a Capodanno, certo; ma ci sono state anche le parole di Lavinia Mennuni che ha affermato che la maternità deve tornare a essere cool per i ragazzi di 18 anni; o ancora alle parole di Francesco Lollobrigida che ha detto no alla «sostituzione etnica». In tutti questi casi, che hanno coinvolto politici e dirigenti di Fratelli d’Italia, secondo Mollicone c’è stata la corsa al clickbait che – in alcuni articoli – ha portato alla diffusione di false informazioni.
Dunque, le circostanze che portano a questa “certificazione digitale delle notizie” s0no ben specificate e riguardano in tutti i casi il ruolo della stampa nelle vicende che hanno visto coinvolti i politici del partito di Giorgia Meloni. Non c’è stato, nell’intervista a Repubblica, un riferimento alle notizie confuse che arrivano dal fronte della guerra in Ucraina o da Gaza (fatti che, vittima della propaganda di parte, vengono narrati sempre in maniera più frammentata e scarsamente oggettiva all’audience globale); non c’è stato il riferimento alle disinformazioni che riguardano vicende di cronaca o analisi dei fenomeni generali come il cambiamento climatico. Nulla di tutto questo. Secondo Federico Mollicone, il problema che dovrà portare alla previsione di una certificazione digitale delle notizie nel nuovo Tusmar (il testo unico della radiotelevisione) riguarda principalmente la narrazione della stampa relativa a fatti di partito.
L’obiettivo di Mollicone sarebbe quello di tutelare la credibilità delle fonti, soprattutto in un ecosistema digitale in cui la propensione al clickbait è fondamentalmente dovuta alla necessità di attirare il numero maggiore di utenti, in un momento di difficoltà per le organizzazioni editoriali. Poi, però, si torna sempre allo stesso punto. Secondo quanto affermato a Repubblica da Mollicone: «Noi di Fratelli d’Italia veniamo vituperati in televisione e sui giornali senza capire che la nostra forza deriva dal riconoscersi in una Comunità».
Al via, dunque, le interlocuzioni con l’Ordine dei Giornalisti e con la Fieg, la Federazione degli editori. A quanto pare, all’orizzonte, si profila uno scontro su questo tema che terrà banco per tutto l’inizio del 2024. Ma Fratelli d’Italia non aveva espresso sempre perplessità verso strumenti di controllo e di certificazione dell’informazione che, spesso, venivano sbrigativamente bollati come “censura”?