Il Codice del Consumo e il caso Balocco-Ferragni

Quali sono i riferimenti normativi e le leggi che hanno portato alla sanzione comminata dall'Antitrust nei confronti dell'azienda e delle società riconducibili all'imprenditrice digitale

18/12/2023 di Enzo Boldi

Negli ultimi giorni, la notizia della multa comminata dall’Antitrust sul caso che vede coinvolte Balocco e due aziende riconducibili a Chiara Ferragni ha riempito le pagine dei giornali e le discussioni dentro e fuori dall’ecosistema dei social network. Una vicenda citata persino dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni che, dal palco di Atreju 2023, ha parlato di «finta beneficenza a cachet milionari». Questa vicenda, però, riapre il dibattito sulle regole relative alla comunicazione pubblicitaria che restano sempre valide. A prescindere dal mezzo di diffusione di un messaggio.

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Al netto delle polemiche a distanza tra la Presidente del Consiglio dei Ministri e Fedez, il caso Balocco-Ferragni è l’emblema di come la comunicazione, in un’epoca in cui i social hanno un’influenza sempre maggiore sulle masse, debba continuare a rispettare alcune normative tipiche della pubblicità (in tutte le sue forme e declinazioni). Nello specifico, la sanzione comminata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), si fa riferimento a tre articoli – il 20, il 21 e il 22 – che fanno parte del cosiddetto Codice del Consumo.

Caso Balocco-Ferragni, i riferimenti al Codice del Consumo

Nel provvedimento dell’Antitrust – datato 15 dicembre – si parla esplicitamente di “pratiche commerciali scorrette”, facendo riferimento, in primis, alla violazione dell’articolo 20 del cosiddetto “Codice del Consumo” (al Secolo, decreto legislativo numero 206 del 6 settembre 2005 e aggiornato nell’ottobre scorso). Nello specifico, il secondo comma di questo articolo rientra nella fattispecie che ha portato alla “condanna” di Fenice S.r.l. e TBS Crew S.r.l. (le due società riconducibili all’imprenditrice digitale) e a Balocco:

«Una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori». 

Perché si fa riferimento a questa parte del Codice del Consumo nel caso Balocco-Ferragni? Come abbiamo spiegato in un nostro precedente approfondimento, l’azienda produttrice (anche) di dolci tipicamente natalizi ha – secondo l’accusa – versato un contributo in beneficeenza (50mila euro) all’Ospedale Regina Margherita di Torino prima ancora che avvenisse l’accordo commerciale con l’imprenditrice digitale per la messa in vendita di pandori griffati con il suo marchio. Cosa ci sarebbe di male? Che la campagna comunicativa e pubblicitaria avrebbe fatto intendere che acquistando il prodotto (a un prezzo maggiorato rispetto agli standard aziendali) il consumatore avrebbe contribuito a questa raccolta fondi. In realtà, evidentemente, le cose sono andate diversamente.

Le violazioni

Non a caso, si rientra nella fattispecie delle “pratiche commerciali scorrette”, facendo intendere al consumatore – quindi inducendolo all’acquisto – di contribuire a una causa che, in realtà, non era quella benefica (già precedentemente espletata da Balocco con una donazione da 50mila euro). Nel provvedimento, infatti, si fa riferimento anche all’articolo 21 del Codice del Consumo (quello relativo alle azioni ingannevoli) e all’articolo 22 (relativo alle omissioni ingannevoli). Perché, secondo l’Antitrust, il messaggio veicolato ha tratto in inganno (anche per omissioni ingannevoli) i consumatori che avrebbero proceduto all’acquisto del pandoro “edizione Pink Christmas” credendo di contribuire alla raccolta fondi per l’Ospedale Regina Margherita di Torino.

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