«Fare cultura su TikTok per capire il linguaggio dei giovani e usarlo», intervista a Cristina Pozzi

Perché i giovani si interessino alla cultura bisogna intercettarli nei loro spazi ed è questo che ha fatto edulia del Sapere Treccani, come ci ha raccontato la CEO Cristina Pozzi

14/06/2023 di Ilaria Roncone

L’educazione è una parte fondamentale di ciò che è Treccani. Proprio per questo esiste edulia dal Sapere Treccani, poco edutech dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana nato per fornire una serie di contenuti e strumenti per l’educazione. Ed è edulia la responsabile per lo sviluppo della piattaforma “Da 0 a ∞ – Pionieri digitali di oggi e domani” con il preciso scopo di fornire conoscenze e competenze necessarie a chi sceglie di utilizzare l’app come mezzo di diffusione culturale, educativo e sociale. Per meglio comprendere la visione di Treccani e l’intento di fare cultura sui social e cultura su TikTok, abbiamo parlato con Cristina Pozzi, CEO di edulia del Sapere Treccani.

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Dall’onlife al lifelong learning, ecco con cosa deve fare i conti oggi la cultura

I neologismi onlife e lifelong learning sono stati presi in prestito da Pozzi per spiegare un concetto semplice ma vitale: oggi viviamo in continuità le nostre esistenze online e offline, non c’è separazione e le due dimensioni si completano. Su questo occorre fare una riflessione in tutti gli ambiti, compresi quelli dell’educazione e della cultura.

Il lifelong learning è quella condizione per la quale siamo calati in un mondo in continuo cambiamento rispetto al quale dobbiamo costantemente formarci, imparare cose nuove in ogni momento e ogni momento è buono per farlo in maniera formale e istituzionalizzata o non formale – da amici e famiglia, per esempio -. Siamo pieni di strumenti, quelli digitali, che ogni giorno ci permettono, quando vogliamo e a nostro piacimento, di metterci a imparare. Proprio da questo presupposto è nata l’idea di unirsi con TikTok.

Fare cultura sui social e su TikTok si può: parola di Treccani

La scelta di TikTok per questa partnership ha un senso: «Proprio perché, se vogliamo, TikTok è quello che attira un po’ di più questa idea sbagliata che non possa essere uno strumento per diffondere cultura ed educazione, eppure in realtà è molto utilizzato dai giovani anche per queste cose. Ci sono tanti giovani ma anche tante persone di età diverse, quindi anche questa è una concezione sbagliata che abbiamo dello strumento».

Una volta sfatati i miti, quindi, è pur vero che TikTok «riesce a comunicare ai giovani perché evidentemente è un linguaggio che comprendono e che li ingaggia e poi, soprattutto, è comunque una bella sfida per tutti noi imparare a essere così sintetici con una comunicazione così efficace. TikTok porta queste cose nel suo formato, cogliere questa sfida e metterla anche a disposizione degli altri con dei consigli che i creator hanno dato per chiunque voglia provare a condividere cultura ed educazione con questo strumento per noi era importante perché educa noi, educa gli insegnanti con cui noi di edulia dialoghiamo tutti i giorno anche solo per capire, mettendosi un po’ alla prova, cos’è questo linguaggio e come funziona. Poi magari non per forza utilizzandolo, però magari a volte anche solo testarlo aiuta a capire meglio chi c’è di là, cosa vuole, cosa cerca e quindi – poi – come dialogare con gli studenti e le studentesse».

Al di là dei social, i nuovi mezzi digitali per fare cultura

Non solo piattaforme social, comunque, nel programma di Treccani per veicolare la cultura ai più giovani. Parlando con Pozzi abbiamo individuato almeno un altro paio di mezzi che l’Enciclopedia Italiana sta tenendo d’occhio in tal senso: «Viviamo in un mondo nel quale i mezzi sono i più disparati e non sarà mai uno solo quello che ci permette di comunicare. Sicuramente è molto interessante quello che sta succedendo oggi nel mondo dei podcast, che va – se vogliamo – in una direzione che sembra opposta a quella che chi era critico verso il digitale si immaginava, no?».

Prosegue la CEO edulia: «Si diceva: si abbassa il livello dei contenuti, le persone non sono disposte a pagare, eppure adesso ci troviamo davanti podcast di valore elevatissimo che spesso accompagnano le persone anche di tutte le età per una durata che arriva magari anche a venti, quaranta minuti e ci sono podcast che vengono pagati ora perché si riconosce valore al contenuto. Questo, per esempio, è un altro mezzo che trovo interessantissimo e sul quale sperimenteremo a brevissimo – oltre ad avere, sulla nostra piattaforma, la possibilità di ascolto in audio di tutti i nostri corsi, ad esempio Maturadio, che abbiamo lanciato sotto pandemia per supportare i ragazzi nel ripasso pre-maturità -. Sono strumenti efficaci perché l’attenzione che si ha quando si ascolta una voce è fortissima e si crea anche un’intimità con chi sta dall’altra parte e ti parla, quindi il potere della voce è veramente fondamentale».

«Ci sono poi anche i videogiochi – ha proseguito Pozzi ai microfoni di Giornalettismo – o questi meccanismi di gioco che diventano un mezzo per far comunità e creare cultura. In certi momenti, in pandemia per esempio, ci sono stati ragazzini e ragazzine che, avendo trascorso molto tempo in videogiochi dove, di fatti, vengono premiati se collaborano e se condividono esperienze, hanno parlato con persone che possono essere in qualunque parte del mondo: così ragazzi e ragazze hanno imparato le lingue perché si trovavano a interagire con persone in inglese e dovevano capirsi rispetto alla strategia da usare. Ciò ci dimostra che non solo il gioco – e questo lo sappiamo da sempre – può essere uno strumento per imparare delle cose ma anche questi meccanismi nuovi sono uno spazio di cultura. Se capiamo come utilizzarli per dare valore ai messaggi culturali che girano in questi spazi, allora stiamo parlando davvero il linguaggio dei ragazzi e delle ragazze».

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