Come il mondo si è disinformato sul Covid nell’ultimo anno

Il report pubblicato dal Reuters Institute sull'infodemia e l'evoluzione della percezione riscontrata tra i cittadini di otto Paesi. La maggior parte delle fake news sono state lette sui social e ascoltando gli "attori" politici

27/05/2021 di Redazione

Oltre un anno di pandemia, con il ruolo dell’informazione stravolto dai nuovi media che, in alcuni casi, hanno creato ancor più confusione. Perché in questi lunghi mesi che hanno attanagliato il mondo nelle stretta maglie delle restrizioni sanitarie per scongiurare l’aumento dei contagi (e delle conseguenti vittime), i cittadini di tutto il mondo hanno scelto le fonti dalle quali attingere per ottenere informazioni. Media tradizionali (televisioni, radio, giornali e siti “certificati”), social e dichiarazioni sparse ai quattro venti cavalcando qualsiasi tipo di polemica. Tutto questo è contenuto nel rapporto pubblicato dal Reuters Institute che analizza, anche, le fake news sulla pandemia e il loro impatto sulla popolazione mondiale.

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Lo studio si basa sui cittadini di otto Paesi: Argentina, Brasile, Germania, Giappone, Corea del Sud, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti. A loro è stato chiesto di rispondere ad alcune domande che avevano come tema di base quello dell’infodemia durante il primo anno di pandemia (il questionario è datato aprile 2021). Il campione anagrafico è abbastanza omogeneo, ma ogni Paese dimostra di aver avuto e offerto una campagna di informazione differente. Differenze emerse soprattutto parlando di fake news sulla pandemia che hanno visto diversi protagonisti.

Fake news sulla pandemia, il report del Reuters Institute

Buona parte della disinformazione sul Covid, secondo le risposte date dagli intervistati, è arrivata dai politici. In particolare, in Brasile, Argentina e Corea del Sud. Il discorso si sposta anche sugli Stati Uniti, ma dal cambio di guida alla Casa Bianca la percezione è cambiata in modo radicale, con la comunicazione di Trump giudicata in modo molto negativo rispetto a quella di Biden.

Il ruolo dei social

Anche l’informazione tradizionale ha offerto, in molte occasioni, la parte peggiore di sé macchiandosi di alcuni episodi di disinformazione percepita. Ma giornali, televisioni e radio continuano a essere ritenuti – sempre secondo le risposte date dagli intervistati e contenute nel report del Reuters Institute – le fonti più attendibili per le notizie, seppur in calo nella percezione di affidabilità. Discorso differente per i social che, come vediamo tutti i giorni davanti ai nostri occhi, sono stati la fucina delle peggiori e più clamorose bufale messe in circolazione nel corso di questo lungo anno di pandemia.

In termini di piattaforme, la preoccupazione del pubblico per informazioni false o fuorvianti su COVID-19 è incentrata sui social media. In media, il 30% afferma di pensare di aver visto ‘molte’ o ‘molte’ informazioni false o fuorvianti sul coronavirus sui social media”, si legge nella sinossi del report. 

Come si può notare da questi grafici pubblicati dal Reuters Institute, la situazione si differenzia in base al Paese. Ma la percezione di non ricevere un’informazione corretta affidandosi (solamente) ai social è diffusa in tutto il mondo. Non a caso, infatti, la maggior parte delle bufale nasce, cresce e si alimenta proprio sulle piattaforme digitali. Il tutto, in molti casi, ha portato a una distorsione cospirazionista della realtà. Per fortuna, però, molti cittadini sono consapevoli di tutto ciò. Si tratta di quella maggioranza silenziosa che, di fatto, viene soppiantata dall’atavico rumore di una minoranza chiassosa che ottiene il proprio posto in Paradiso fagocitando complotti.

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