Elon Musk ha le caratteristiche per essere un editore?

Se Twitter viene catalogata come una app di news, il suo proprietario - seguendo un logico sillogismo - ne è l'editore. Ma la sua passione è il citizen journalism

13/01/2023 di Enzo Boldi

Ha una valanga di soldi da investire. Ha capacità imprenditoriali visibili agli occhi di tutti. Ha un piglio sempre attivo verso le novità e le innovazioni. Insomma, descritto così Elon Musk sembra avere quasi il punteggio massimo nelle caratteristiche per ricoprire il ruolo di editore. E, di fatto, già lo è. Lo dicono gli App Store (sia quello per i dispositivi Android che quello di Apple) che hanno catalogato Twitter – la società che ha acquistato solo qualche mese fa per la “modica” cifra di 44 miliardi di dollari, al termine di una lunga e complessa trattativa a mo’ di montagne russe – come una app di news. Una definizione importante. Anzi, fondamentale visto che già nel recente passato si è molto dibattuto sul ruolo di “editore” di Facebook e delle altre piattaforme che consentono la condivisione di articoli o servizi giornalistici.

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Dunque, Elon Musk editore potrebbe non essere solamente un’etichetta da inserire nel già vasto curriculum di esperienze personali (di successo) condotte dal 51enne sudafricano. D’altronde, la storia stessa dell’ultima creatura inserita all’interno del suo portfolio da imprenditore va in quella direzione. La piattaforma che, per mera volontà di sintesi, è sempre stata definita un social network è nata come piattaforma di microblogging: brevi contenuti testuali (all’epoca non vi era possibilità di allegare foto e video) da condividere online.

Elon Musk editore e la sua passione per il citizen journalism

Perché parliamo di Elon Musk editore? Prima di rispondere a questa domanda, facendo sponda su alcune sue esternazione e altre notizie trapelate nel recente passato, proviamo a dare una definizione di quel ruolo. Per farlo, utilizziamo la definizione contenuta all’interno del vocabolario dell’Enciclopedia Treccani: «Persona o azienda che fa stampare e pubblicare libri, giornali, opere musicali ecc., curandone la distribuzione e la vendita e assumendosene gli utili o le perdite, oppure l’imprenditore o la società che ha la proprietà o il controllo di una testata giornalistica o, anche, un’azienda che produce media e prodotti multimediali». Nonostante sia classificata come “app di news”, Twitter non è una testata giornalistica. Ma produce media e prodotti multimediali. In che modo? Con il contributo degli utenti. Non è un caso, infatti, che l’imprenditore sudafricano sia da sempre molto critico (per usare un eufemismo) nei confronti dei mezzi di informazione tradizionali. E, nel recente passato, ha rilanciato al mondo dei cinguettii social la sua passione per il giornalismo partecipativo.

«Una cosa bella di Twitter è il modo in cui dà potere al citizen journalism: le persone sono in grado di diffondere notizie senza pregiudizi dell’establishment». Un giudizio netto, ancor prima di procedere con la fine della trattativa con i vecchi proprietari della piattaforma e procedere al pagamento dei 44 miliardi di dollari per l’acquisizione. Il tutto condito da quel richiamo al giornalismo partecipativo (o collaborativo). Si tratta di un movimento nato a metà degli anni Novanta per nobilitare il ruolo attivo dei lettori nell’individuazione, nella costruzione e nel racconto di una notizia. Spesso e volentieri, tutto ciò è legato ad accadimenti tipici della cronaca locale, dove il cittadino “testimone” di un determinato luogo è in grado di essere più pronto e “sul pezzo” rispetto a un giornalista.

E le piattaforme social sono l’emblema di come la rete possa essere un acceleratore di questa dinamica. Spesso e volentieri, infatti, i cosiddetti media tradizionali attingono proprio da Twitter, Facebook, Instagram, TikTok e altri per avere informazioni aggiornate. Oppure trovano “notizie” proprio da lì (che, ovviamente, devono essere verificate prima della pubblicazione su testate che, altrettanto ovviamente, devono rispettare tutti i canoni e le regole deontologiche prima di pubblicare online una notizia). Il concetto di citizen journalism, decantato ed esaltato da Elon Musk, è dunque il primo tassello che porta all’etichetta di “editore”, essendo Twitter il veicolo per la pubblicazione di notizie.

Il caso del paywall superato su Twitter

Il secondo tassello che ci porta a parlare di Elon Musk editore arriva da un altro tweet pubblicato dall’imprenditore sudafricano, a pochi giorni dall’acquisizione della piattaforma. Erano i giorni in cui si parlava di “Twitter Blue“, del suo nuovo costo e dei nuovi “privilegi” concessi agli utenti pronti a sottoscrivere questo tipo di abbonamento. Ed è lì che per la prima volta arrivò una proposta tipica di un editore.

In un breve thread in cui annunciava il prezzo (8 dollari) di questo “pacchetto”, l’imprenditore ha annunciato che l’idea era anche quella di «superare il paywall per gli editori disposti a lavorare con noi». Dunque, prima di procedere sarebbe servito un accordo con i singoli editori, affinché essi acconsentissero al decadimento del paywall (ovvero gli articoli leggibili solo a pagamento) per la lettura degli articoli condivisi sulla piattaforma. Per il momento, però, quella proposta per un nuovo modello di distribuzione di contenuti giornalistici non sembra essere andata avanti. Almeno alla luce del sole. Sta di fatto che la piattaforma, secondo gli ideali di Elon Musk, sembra assomigliare ogni giorno di più (anche per via delle sue rivendicazioni) a un progetto editoriale.

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