C’è un elenco di oltre 700 famiglie mafiose, ‘ndrine e clan di camorra

In un Paese che fa i conti con una crescita economica prossima allo zero operano almeno 700 pericolosi gruppi criminali organizzati, basati soprattutto nelle regioni del Sud, ma capaci di proiettare le loro attività illecite su tutto il territorio nazionale o di costruire relazioni internazionali. È il lungo elenco contenuto nell’ultima relazione del Ministero dell’Interno al Parlamento sull’operato della Dia, un rapporto semestrale che indica provincia per provincia, comune per comune, quali sono le famiglie mafiose, le ‘ndrine e i clan di camorra o di altra estrazione che si battono per il controllo dei business illegali.

 

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(Immagine dall’ultima relazione del Ministero dell’Interno al Parlamento sull’operato della Dia, relativa al primo semestre 2018)

 

Le mappe della Dia con elenco di clan di mafia, ‘ndrangheta e camorra

L’ultimo documento, presentato ieri, è relativo alla prima metà del 2018, e segnala con mappe dettagliate la presenza in Sicilia di circa 200 cellule o sodalizi della criminalità organizzata, soprattutto nel Palermitano, altri circa 200 gruppi sarebbero attivi in Campania, dalla città di Napoli fino alla provincia di Benevento, oltre 200 in Calabria, in particolare nel Reggino, un centinaio in Puglia, una dozzina in Basilicata.

 

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(Immagine dall’ultima relazione del Ministero dell’Interno al Parlamento sull’operato della Dia, relativa al primo semestre 2018)

 

Per quanto riguarda Cosa Nostra, la storica organizzazione siciliana, dalle più recenti acquisizioni investigative è emersa la suddivisione del territorio della provincia di Palermo in 15 mandamenti, 8 in città e 7 fuori, composti da 81 famiglie, 32 in città e 49 fuori. Il territorio della provincia di Trapani è invece diviso in 4 mandamenti con 17 famiglie. Per quanto riguarda invece quella di Agrigento vengono indicati 7 mandamenti e ben 42 famiglie. Nella stessa area sarebbero poi attivi anche tre gruppi della Stidda. A quanto pare, la criminalità siciliana continua a vivere in uno stato di generale criticità, perché ancora impegnata in un riassetto degli equilibri interni.  Il riassetto si rende necessario anche per il contrasto delle istituzioni degli ultimi anni, con la sottrazione ai boss di ingenti patrimoni e l’arresto di un gran numero di affiliati e di capi. I colpi inferti con le confische si sono aggiunti ad un lungo stato di detenzione di diversi elementi di vertice e comunque di boss autorevoli, molti dei quali sottoposti al regime di carcere duro. Su questa situazione di sofferenza ha poi inciso in maniera rilevante la prolungata mancanza di una struttura di vertice effettiva.

Interminabile è anche la lista della Calabria. Sulle mappe della relazione della Direzione Investigativa Antimafia sono indicati circa 150 gruppi criminali attivi nella provincia di Reggio Calabria, nella città capoluogo e in provincia, tra versante tirrenico e versante ionico. Sono tra i 20 e i 30 invece quelli attivi per ognuna delle province di Catanzaro, Vibo Valentia, Crotone e Cosenza.  La ‘ndrangheta resta articolata su più livelli secondo un modello verticistico-unitario, che, dice la Dia, è fortemente proiettato verso la gestione di tutte le attività economico e finanziarie più appetibili. La criminalità calabrese mantiene ancora intatta la propria supremazia nel traffico degli stupefacenti, non solo a livello nazionale, con la sua capacità di interagire direttamente con i più agguerriti cartelli della droga del mondo.

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(Immagine dall’ultima relazione del Ministero dell’Interno al Parlamento sull’operato della Dia, relativa al primo semestre 2018)

 

Resta più disarticolata la camorra in Campania, organizzazione storicamente più orizzontale, priva di una cupola. Sono più o meno 150 i cognomi che identificano i diversi clan camorristici a Napoli e provincia, precisamente una settantina di gruppi in città e una sessantina invece nella vasta provincia. Sono circa 20 invece i gruppi indicati come attivi nella provincia di Caserta. Stessa cifra a Salerno. Una decina nel Beneventano. Un numero ancora più basso nell’Avellinese.

 

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(Immagine dall’ultima relazione del Ministero dell’Interno al Parlamento sull’operato della Dia, relativa al primo semestre 2018)

 

Per quanto riguarda la più nota organizzazione campana, quella dei Casalesi, il rapporto della Dia spiega che la loro presenza nel territorio del Casertano resta solida, nonostante gli incisivi colpi subiti per l’azione di magistratura e forze dell’ordine, attraverso una coesione interna fondata su forti vincoli familiari e un consenso nel tessuto sociale.

 

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(Immagine dall’ultima relazione del Ministero dell’Interno al Parlamento sull’operato della Dia, relativa al primo semestre 2018)

 

Particolare rilevanza assume negli ultimi tempi anche la criminalità pugliese. Gli esperti della Dia fanno sapere che è emerso un avvicinamento tra la camorra barese, la mafia foggiana e la Sacra Corona Unita, al punto che, in
alcune circostanze, la cerimonia di affiliazione di sodali baresi è stata celebrata alla presenza di un rappresentante della
Scu. Non è un particolare da sottovalutare.

 

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(Immagine dall’ultima relazione del Ministero dell’Interno al Parlamento sull’operato della Dia, relativa al primo semestre 2018)

 

Le tre organizzazioni mafiose attive in Puglia, pur essendo come autonome, soprattutto nel controllo militare del territorio, sarebbero proiettate, sotto la guida delle famiglie dominanti, alla realizzazione di una struttura multi-business, con una mentalità criminale più moderna e specializzata. L’obiettivo sarebbe quello di spaziare
nei vari ambiti dell’illecito affermando nello stesso tempo un’espansione degli affari nei settori in crescita dell’economia legale. Le mappe della Dia indicano una trentina di gruppi nel Foggiano, e una trentina attivi anche a Bari città e nella provincia.

 

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(Immagine dall’ultima relazione del Ministero dell’Interno al Parlamento sull’operato della Dia, relativa al primo semestre 2018)

 

Non mancano riferimenti alla criminalità a Roma. Nella Capitale risultano attivi, oltre ad aggregati criminali di origine locale, anche gruppi strutturati che sono riflesso delle organizzazioni di Calabria, Sicilia e Campania e che sono in grado di gestire i più diversi business illegali, dal traffico di droga, alle estorsioni, all’usura, al riciclaggio. Le consorterie avrebbero adottato, dice ancora la Dia, un metodo operativo caratterizzato dalla progressiva diminuzione delle componenti violente, militari, per far spazio ad una ricerca di relazioni di scambio e di collusione, per infiltrare il territorio romano.

(Immagine di copertina dall’ultima relazione del Ministero dell’Interno al Parlamento sull’operato della Dia, relativa al primo semestre 2018)

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