Perché Kim Kardashian e Floyd Mayweather sono stati citati in giudizio nelle cause sulle criptovalute

Le due star hanno sponsorizzato un coin digitale che non ha avuto successo, provocando la perdita (complessiva) di miliardi di dollari da parte degli investitori

20/06/2022 di Enzo Boldi

C’è un prima e c’è un dopo. Il prima è rappresentato dall’epoca d’oro delle monete digitali che, nel corso di pochi mesi, hanno visto accrescere il loro valore aumentando il loro appeal nei confronti di futuri e futuribili investitori. Il dopo, invece, è rappresentato dal crollo verticale di quel valore – che per natura stessa del coin (ce ne sono di vario tipo, ma tutti condizionati da analoghe dinamiche che seguono la natura volubile di questo mercato) – provocato dalla crisi delle criptovalute. E chi ci ha messo la faccia, ora, rischia di vedere il proprio nome coinvolto in citazioni in giudizio da parte degli inferociti consumatori.

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Ed è il caso di Kim Kardashian e Floyd Mayweather jr., entrambi coinvolti nel 2021 in un’ampia campagna di sponsorizzazione di una criptovaluta chiamata EthereumMax. All’inizio erano tutte rose e fiori: il valore di questa moneta virtuale era salito, nel giro di poche settimane (proprio durante la campagna di pubblicità che aveva visto coinvolte anche altre star del mondo dello sport e di Hollywood) fin al 1.370%. Poi il rapido crollo nel corso dei mesi successivi. Chi ha investito in quel coin, ha visto andare in fumo il suo investimento (soprattutto chi ha effettuato il suo acquisto nell’epoca d’oro in cui il valore era cresciuto alle stelle). Ma dalle stelle alle stalle il passo è stato breve.

Crisi criptovalute, perché si parla di Kim Kardashian e Floyd Mayweather

All’inizio, come spiegammo in un nostro approfondimento di un anno fa, la stessa Kim Kardashian era stata addirittura accusata di aver messo il proprio volto e il proprio nome su una truffa. In realtà, EthereumMax (EMax) è una realtà conclamata che, però, ha fatto una brutta fine fallendo i suoi obiettivi e non mantenendo le promesse di un guadagno facile investendo nel mercato delle criptovalute. E ora, con la crisi che prosegue da settimane (con le due principali monete virtuali, BitCoin ed Ethereum che continuano a segnare record negativi) i nomi di chi ha invitato gli utenti – consci del proprio peso mediatico – a investire in coin virtuali finiscono nelle varie citazioni in giudizio.

È accaduto, solo la scorsa settimane, a Elon Musk che si è visto recapitare una causa da parte di un cittadino americano che lo accusa di aver manipolato il mercato dei Dogecoin (anche loro nella morsa della crisi criptovalute). Lo statunitense ha chiesto all’uomo più ricco del mondo un risarcimento da 258 miliardi di dollari. Non sappiamo come, se e quando si arriverà a dirimere questioni di questo tipo e se mai ci sarà un giudice (in tutto il mondo) ad aprire il vaso di Pandora. Perché, ed è questo il tema, l’assenza di una legislazione univoca sulle monete digitali rende tutto molto fumoso.

L’assenza di paletti giuridici

Il caso Elon Musk e anche la doppia citazione in giudizio nei confronti di Kim Kardashian e Floyd Mayweather, potrebbero – e probabilmente sarà così, anche se le due vicende hanno alcune differenze – concludersi con un nulla di fatto. Perché, come spiega il The Guardian, per poter decidere se un soggetto abbia delle responsabilità occorrono dei vincoli normativi. Una legislazione assente in un mercato che non è ancora stato normato. Perché un conto è parlare di responsabilità (e buona parte di queste dipendono, comunque, dalle aziende che si occupano di criptovalute) nelle comunicazioni – come la mancata e sottolineata indicazione dei rischi che si corrono investendo in un mercato (così come quello finanziario) così volubile e instabile, ma anche gli eccessivi riferimenti ai “vantaggi” rispetto ai “rischi” -, un altro è pensare di poter coinvolgere aziende e personaggi in cause per truffa o similari. Perché, viste queste promesse, si può parlare di pubblicità ingannevole (in alcuni casi, ovviamente), ma non di tentativo di frode.

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