Con il caso Genovese torna l’orrore della Bibbia 3.0

Nel computer di Genovese è stato trovato un file chiamato "La Bibbia 3.0" che ci riporta, purtroppo, a uno dei più grandi casi di pedopornografia in Italia

10/11/2022 di Ilaria Roncone

Aumentano le accuse a carico di Alberto Genovese: non solo ulteriore violenza sessuale ma anche detenzione di materiale pedopornografico e intralcio alla giustizia. La contestazione di materiale pedopornografico è stata fatta dal procuratore aggiunto Maria Letizia Mannella e i pm Rosaria Stagnaro e Paolo Filippini. Secondo quanto riporta Repubblica, infatti, le indagini della squadra mobile di Milano hanno portato a individuare nel pc dell’imprenditore «materiale pornografico realizzato utilizzando minori di anni 18». In particolare, si parla di questione Genovese Bibbia 3.0: c’è un file chiamato “La Bibbia 3.0” che, secondo le indagini, contiene «numerosissime fotografie e video di soggetti minorenni privi di vestiti o in atteggiamenti sessuali espliciti» e «undici file con soggetti prepuberali nudi» anche «mentre compiono atti sessuali». Un orrore che, per come descritto nelle indagini, ci riporta a quello che è stato uno dei più grandi casi di materiale pedopornografico scovato in rete, quello de “La Bibbia” e cartelle seguenti.

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Genovese Bibbia 3.0: la storia che c’è dietro quel materiale

Il materiale trovato nella cartella è archiviato per tipologie e per età («acronimi tipici delle parole chiave di ricerca esplicitamente pedopornografiche, quali lolita, babyshi, lolifuck» o, ancora, «8 yo» o «10 yo», che stanno a indicare l’età anagrafica di almeno uno dei soggetti presenti nel video). Quello che negli scorsi anni è stato chiamato – a giusta ragione – l’archivio degli orrori è stato al centro (in tutte le sue versioni) di indagini lunghe e approfondite da parte della polizia. Materiale che, per molto tempo, è stati rintracciabile e vendibile nelle parti più oscure della rete.

Le indagini della polizia – nel 2018 – hanno portato anche all’analisi di conversazioni su alcuni forum e di pagamenti effettuati tramite PayPal per accedere al download. Un caso che ha portato a moltissimi arresti in tutta Italia con la Polizia Postale che ha parlato di un «archivio alimentato dai diversi utenti mediante la sottrazione delle immagini pubblicate sui profili dei social network o a seguito dell’invio, da parte delle stesse vittime, delle proprie immagini di nudo a soggetti conosciuti prevalentemente su internet, che provvedevano alla successiva diffusione dei file così ricevuti».

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