Spiegare Napoli con «Così parlò Bellavista» di Luciano De Crescenzo

«C’è chi è napoletano e ammazza Napoli con le sue mani». Potremmo prendere in prestito il memorabile monologo di Luciano De Crescenzo, tratto dal film Così parlò Bellavista, per indagare – attraverso la spensierata filosofia partenopea – diversi momenti della quotidianità napoletana, come ad esempio il vile atto compiuto nei confronti di Gino Sorbillo, ambasciatore della pizza napoletana nel mondo, proprio alla vigilia – altro elemento emblematico – della giornata mondiale del «pizzaiuolo», indetta per il 17 gennaio.

Potremmo prenderlo d’esempio proprio nella giornata di oggi, segnata dalla morte dell’ingegnere filosofo all’età di 91 anni. Potremmo ricordarlo proprio in virtù della grande passione che l’uomo aveva per la sua città d’origine.

Luciano De Crescenzo, l’attualità di Così parlò Bellavista

Luciano De Crescenzo: «Siete napoletani e ammazzate Napoli»

Le parole di De Crescenzo in un film datato 1984 calzano a pennello. Sembrano quasi descrivere in real time l’esplosione di una bomba in uno dei luoghi che è diventato il simbolo della Napoli dei millennials, quella che cerca di unire la tradizione alla modernità, seguendo sempre la linea dritta della fatica e dell’onestà.

Sorbillo ha imposto il suo marchio in tutto il mondo, sfruttando un’arte antica e la voglia di emergere. Chi ha fatto esplodere la bomba davanti al suo locale, «sotto la saracinesca» direbbe De Crescenzo, incarna alla perfezione il prototipo del rancoroso malvivente. Magari anche di piccolo taglio. Che oppone la violenza fine a se stessa al talento.

«Voi invece siete coraggiosi. La notte mettete una bomba sotto una saracinesca, e vi sentite degli eroi.
Magari o’ piano e sopra sta nu povero vicchiariello ca c’appizza a’ pelle… Ma a vuje c ve ne ‘mport, siete disoccupati, avete l’alibi morale. Siete napoletani e ammazzate Napoli. Eh già, perché ci sono i commercianti che falliscono, le industrie che chiudono, i ragazzi che sono costretti ad emigrare…
Ah già, poi volevo dì un’altra cosa: ma tutto sommato, nunn’è che fate na vita ‘e merda?»

Il richiamo alla presenza dello Stato a Napoli – fatto da Luigi Di Maio, uno che per la sua stessa funzione di ministro dovrebbe rappresentare lo Stato – non può bastare, se non è seguito da una svolta nella mentalità a volte provinciale di una piccola parte delle persone che vivono in una delle città più belle del mondo. La cui descrizione sarebbe solo vuota retorica.

La bomba davanti alla pizzeria di Sorbillo ai Tribunali, nel cuore pulsante di una città che da anni rivendica la sua ripresa non soltanto fisica ma anche morale, prima di essere bollata come «ritorsione» o episodio «mafioso», deve essere riconosciuta nel suo essere la scusante dei «commercianti che falliscono, delle industrie che chiudono, dei ragazzi che sono costretti ad emigrare».

Ed è anche la palese dimostrazione di quanto possa essere frustrante godere delle disgrazie altrui, quando l’altrui è all’apice del proprio successo. Come direbbe De Crescenzo, insomma, «na vita ‘e merda».

[FOTO ALESSANDRO BIANCHI-ANSA-CD]

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