Chi ha ucciso Soumaila Sacko e il silenzio di Matteo Salvini

04/06/2018 di Redazione

Soumaila Sacko è morto colpito da un proiettile in testa mentre stava recuperando alcune lamiere in un vecchio stabilimento abbandonato in località “ex Fornace” di San Calogero. Era un migrante regolare del Mali, bracciante sfruttato nei campi agricoli di Reggio Calabria, padre di una figlia di 5 anni. Soumaila era impegnato nella lotta allo sfruttamento e lavorava per un salario di tre euro l’ora al giorno. Era un sindacalista che aiutava i suoi compagni ad avere più diritti.

Come è morto Soumaila Sacko

Al momento degli spari Sacko si trovava con due amici del Mali. Si era avviato dalla tendopoli di San Ferdinando a un vecchio stabilimento abbandonato in cerca di lamiere utili per costruire un rifugio. I due compagni che erano con lui sono stati feriti con altri colpi di arma da fuoco.

A raccontare ai carabinieri di Tropea cosa è successo è stato infatti Drame Madiheri, 39 anni, rimasto lievemente ferito a una gamba. “Qualcuno è arrivato a bordo di una Fiat Panda vecchio modello e ci ha sparato addosso, Sacko è caduto colpito alla testa. Io ho sentito un bruciore alla gamba. Ho visto quell’uomo, bianco, con il fucile. Ha esploso quattro colpi dall’alto verso il basso“. Sacko è stato subito soccorso e trasportato nell’ospedale di Reggio Calabria, ma è morto nel giro di pochi minuti.
L’area teatro dell’omicidio è una vecchia fabbrica, sotto sequestro da 10 anni, situata a pochi chilometri dalla tendopoli. La struttura è completamente abbandonata e fu sequestrata nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Vibo Valentia perché nel suo sottosuolo sarebbero state stoccate illecitamente oltre 135 mila tonnellate di rifiuti tossici.

Soumaila Sacko e il silenzio di Salvini

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini non si è ancora espresso sulla vicenda. Continua la sua propaganda lungo lo stivale contro gli immigrati irregolari e il sistema d’accoglienza italiano. “Per i clandestini è finita la pacchia, devono fare le valigie, con calma, ma se ne devono andare”, aveva dichiarato qualche giorno fa. E poi “sulle Ong stiamo lavorando e ho le mie idee: quello che è certo è che gli Stati devono tornare a fare gli Stati e nessun vice scafista deve attraccare nei porti italiani”.

Intanto si sta stringendo il cerchio intorno al killer di Soumaila. Si segue la pista della criminalità organizzata. Questo perché gli inquirenti temono che il gruppo di tre maliani si trovasse nel posto sbagliato al momento sbagliato. Semplicemente per raccogliere quelle che dovevano esser lamiere utili per una casa improvvisata, utile alla tendopoli.

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