Il dottore non risponde: in Italia scatta l’allarme medici di famiglia

Siamo all’apocalisse dei medici di famiglia. Al nord l’allarme è già scattato, ma si stima che alla fine del 2024 saranno 15mila in meno. Se le cose non cambieranno, saranno più di 20 milioni gli italiani che si troveranno in difficoltà, ai quali verrà sottratto il primo presidio sanitario sul territorio. I dati sono stati elaborati dal Fimmg, il principale sindacato dei medici di famiglia. Sono loro a lanciare un vero e proprio grido d’aiuto: nei prossimi sei anni, infatti, i pensionamenti supereranno di gran lunga i nuovi innesti, arrivando alle cifre negative snocciolate prima.

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MEDICI FAMIGLIA, SCATTATO L’ALLARME

Oggi, ogni medico di famiglia in Italia può avere al massimo 1500 pazienti. Possibile che nei prossimi anni, questo numero verrà portato a 2000. Ma anche questo provvedimento potrebbe non bastare. I primi effetti di questo incredibile paradosso made in Italy si stanno già facendo notare al nord. Pensiamo al caso della Lombardia: di 670 posti messi al bando, 400 sono rimasti vacanti. Non perché le sedi siano rappresentate da inaccessibili villaggi alpini, sommersi dalla neve in inverno, lontani dal mare in estate. Milano, la grande Milano, metteva a disposizione 62 incarichi e ne sono stati coperti soltanto 16. In linea, quindi, con la media regionale.

Se Atene piange, Sparta non ride. Stesso discorso si può fare per il Veneto. In questi casi, giocano un ruolo fondamentale le «grandi migrazioni» di professionisti meridionali: prima i medici del sud andavano a sopperire alle mancanze del nord. Oggi, visto che c’è ampia disponibilità di posti nelle regioni di origine, i camici bianchi del sud preferiscono restare vicini a casa loro, lasciando di conseguenza scoperti gli ambulatori dell’Italia settentrionale. Ma a breve l’onda lunga delle carenze dei medici di famiglia arriverà anche da Roma in giù.

MEDICI FAMIGLIA, LE POSSIBILI SOLUZIONI

«Devono raddoppiare le borse di studio – dice il segretario nazionale di Fimmg Silvestro Scotti -. Speriamo che le regioni, che in questi giorni stanno facendo i bandi, tengano conto di questa emergenza. Poi bisogna snellire la burocrazia. Oggi, i giovani aspettano almeno due anni prima di entrare dopo la chiusura dei corsi, anche se i posti ci sono. Aumentare il numero massimo di pazienti può essere una soluzione momentanea. Ma potrebbe anche non servire».

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