Come sta andando l’age verification negli Stati Uniti?

Il caso della Lousiana è quello più emblematico. Ma ci sono luci e ombre

03/04/2024 di Enzo Boldi

È passato oltre un anno dal giorno in cui in Louisiana è entrata in vigore quella legge che prevede l’obbligo per le piattaforme che offrono contenuti riservati a un pubblico adulto di adottare sistemi e strumenti per la verifica dell’età dell’utente. Da allora, l’age verification negli USA è diventato un tema che ha coinvolti molti altri Stati americani (in assenza di una normativa federale) e altri Paesi sparsi per il mondo. Ma è veramente tutto oro quello che luccica?

LEGGI ANCHE > Agcom cerca soluzioni per la age verification sui siti per adulti

Piccola premessa: ogni singolo Paese (soprattutto quelli al di fuori dell’Unione Europea) ha normative differenti non solo per quel che riguarda l’accesso ai siti pornografici, ma anche per quel che concerne il comparto relativo alla tutela della privacy degli utenti. Questo dettaglio è fondamentale per capire il motivo che spinge a fortissime riflessioni sulla possibilità di adottare delle soluzioni simili e universali. Perché se da una parte c’è da salvaguardare i minori, dall’altro ci si può scontrare con aspetti tecnici non secondari. Per citare l’Italia: si sta parlando – a volte a mo’ di “tormentone estivo” – di sistemi simili anche per l’accesso alle piattaforme di social networking.

Age verification USA, come sta funzionando la soluzione

Detto ciò, Giornalettismo oggi sta approfondendo il tema della consultazione pubblica avviata da Agcom per trovare soluzioni in grado di limitare l’accesso alle piattaforme che ospitano video e foto riservate agli adulti (contenuti pornografici, per dirla in poche parole) e uno degli esempi che sembrano poter essere presi in considerazioni è l’approccio all’age verification USA. In particolare, quello vigente in Lousiana. La tanto criticata – soprattutto dai grandi player del settore – legge HB 142 obbliga le piattaforme che ospitano almeno il 33,3% di contenuti ritenuti “dannosi per i minori” di implementare i loro sistemi con un vincolo d’accesso.

In pratica, non basta più l’auto-dichiarazione sull’essere maggiorenne (o meno, con rimando al di fuori del sito), ma si chiede al singolo utente di fornire una prova documentale della propria maggiore età. In che modo? Fornendo alla piattaforma copia (scansione) del proprio documento d’identità rilasciato dal governo. Questa mossa ha sollevato molte polemiche. In primis, quelle – piuttosto ovvie – di piattaforme come Pornhub. Prendiamo proprio quest’ultima realtà come esempio: dopo aver uniformato i propri sistemi alla legge in vigore, la piattaforma ha registrato un calo dell’80% del traffico in Lousiana. Da qui, la decisione di bloccare l’accesso al sito. Insomma, dopo aver seguito la normativa si è preferito fare un passo indietro.

Le critiche

Al netto di alcune criticità legate alla sicurezza (ovvero il fornire i propri documenti d’identità alle piattaforme), c’è un tema sollevato dalla stessa Aylo (la holding che controlla Pornhub e molti altri portali di intrattenimento per adulti): obbligare i siti “etici” (per modo di dire, visto che il mondo del porno – anche quello regolamentato – è spesso inciampato in brutti e pericolosi fatti di cronaca) ad adempiere a dei vincoli spalanca ancor di più le porte verso quelle soluzione dai contorni oscuri. Per fare un esempio: i giovani di oggi, nativi digitali, possono riuscire in pochissimo tempo ad accedere al dark web oppure cercare contenuti simili su Telegram, una vera zona franca per quel che riguarda la condivisione di materiale pornografico (ma anche, come la storia insegna, di revenge porn e altro). Dunque, le soluzioni di age verification USA (con molti altri Stati che hanno seguito l’esempio della Lousiana) possono rappresentare un mero tampone iniziale. E, infatti, anche in Francia si sta ancora discutendo – dopo averla annunciata oltre un anno fa – a una soluzione simile. Mentre

Share this article