Vuoi convincere al colloquio di lavoro? Chiedimi come
08/04/2015 di Tommaso Caldarelli
Molti neolaureati ci riferiscono che l’Università non riesce in nessun modo ad indirizzare verso un posto di lavoro. Le è mai capitato di essere contattata dai servizi placement delle Università milanesi, ad esempio?
Alle persone che ci leggono e che stanno progettando un colloquio di lavoro, che consigli darebbe?
Naturalmente, e prima di tutto, mai spacciarsi per ciò che non si è, barare non solo non è utile ma è anche dannoso. Detto questo, direi di andare liberamente ad un colloquio, quando ciò significa naturalezza e genuinità della persona. Il che non è assolutamente in contrasto con l’esigenza di prepararsi e preparare il colloquio: e non intendo tanto una preparazione tecnica in senso stretto, perché il primo sarà sempre un colloquio conoscitivo e motivazionale. Il colloquio sulle potenzialità concrete, sull’inserimento del candidato nel progetto e nel workflow, arriverà semmai dopo.
E come prepararsi per questo colloquio?
Innanzitutto, avendo chiara la posizione per cui ci si è candidati e mostrando interesse per l’azienda, sulla quale si saranno raccolte un po’ di informazioni. Il candidato deve dare al selezionatore la possibilità di capire le sue attitudini, la sua motivazione e i suoi interessi; deve fornire tutti quegli elementi che considera importanti per ottenere quel posto; deve avere idee abbastanza chiare su sé stesso e sul mondo, nei limiti di quanto è consentito dall’età del giovane. Insomma, si deve riuscire a trasmettere il messaggio: “Anche se non so una cosa, so dove andare per impararla”. Poi non guasta mostrare una certa cultura generale, intendo dire il fatto di essere persone minimamente informate, calate nel loro tempo…soprattutto quando parlo con un giovane che dovrebbe avere un minimo di rapporto con le nuove tecnologie, a volte sento cose strane. Intendo: se ci si presenta per lavorare in una società come la nostra senza aver mai aperto un sito o un social network, è un problema. Serve avere una conoscenza almeno generale, ma mirata, del settore nel quale cui ci si candida per lavorare, anche perché a volte la preparazione universitaria non è come ce la si aspetterebbe. Da quel che vedo, soprattutto in informatica, si esce dalle facoltà con una preparazione inadeguata, e in azienda si fanno cose che sono, spesso, più avanti. E per questo è importante riuscire ad essere anche autodidatti e un po’ “smart”, così da essere in grado di colmare le lacune che dovessero presentarsi.