Tutto quel che c’è di sbagliato nel servizio del Tg1 sull’Ospedale di Aprilia

Le immagini delle telecamere a circuito chiuso, con il volto visibile e riconoscibile della donna. La deontologia e le regole sulla privacy dicono ben altro

03/02/2024 di Redazione Giornalettismo

Una testata giornalistica può raccontare una storia, anche di cronaca, anche senza mostrare immagini. Video e frame, infatti, non sono strettamente necessari alla narrazione. Eppure, come accaduto già in passato (vedi caso Mottarone), accade che la televisione pubblica si dimentichi di rispettare le più basilari regole deontologiche, trasmettendo un filmato – tratto dalle telecamere a circuito chiuso di un nosocomio laziale – senza oscurare il volto di una donna, oggetto del servizio andato in onda sul Tg1. Una violazione dei paletti alla base della professione giornalistica e dei princìpi basilari della tutela della privacy. E così il caso del neonato lasciato dalla madre nella sala d’attesa del triage dell’Ospedale di Aprilia riapre il dibattito sui limiti del diritto di cronaca.

Tg1 e il video con le immagini dell’Ospedale di Aprilia

La deontologia giornalistica, infatti, sottolinea come non si possano pubblicare immagini che rendano riconoscibile una persona. Soprattutto si si tratta di una possibile indagine in corso o di elementi che non aggiungo nulla alla notizia. E invece, prima il Tg1 (che ha rivendicato anche l’esclusività di quel video) e poi altri organi di stampa, hanno diffuso quel filmato (ancora non è chiaro chi sia stato a consegnarlo alla redazione), non oscurando il volto della donna. Che, dunque, è pienamente riconoscibile. Il Garante Privacy ha chiesto la rimozione di quel video ed è pronto ad aprire un’istruttoria. Mentre l’Ordine dei Giornalisti, nelle sue cariche più alte, ancora non si è espresso.

E c’è anche un’altra storia che coinvolge il Tg1. Nel corso dei titoli dell’edizione serale del 25 gennaio, è comparsa la scritta in sovrimpressione: «Mille euro in più per gli anziani». Si parlava di una delle decisioni dell’ultimo Consiglio dei Ministri, del cosiddetto “Patto per la Terza Età”. Peccato che i fondi non riguarderanno tutti gli anziani d’Italia, ma circa 25mila persone. Eppure il titolo faceva intendere ben altro.

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