Cosa ci sta succedendo? Se i Carabinieri devono intervenire per bloccare le riprese di un suicidio

In base a quanto riportato, i carabinieri della compagnia Casilina avrebbero impedito la diffusione delle immagini del suicidio di un dodicenne a Roma

13/10/2023 di Gianmichele Laino

C’è qualcuno che ha assistito in diretta al suicidio di Vincent Plicchi, il cosplayer da 100mila followers su TikTok che si è tolto la vita con la telecamera puntata nella stanza dove tutto si è consumato. C’è qualcuno che ha rischiato seriamente di assistere anche al suicidio di un dodicenne di Roma, che si è tolto la vita a Piazza dei Mirti, nel quartiere Centocelle. Il comune denominatore della vicenda è la perdita completa di qualsivoglia contatto tra la realtà e il mondo del virtuale. Abbiamo già spiegato quello che è successo a Inquisitor, un creator e cosplayer esperto di Call of Duty, la cui vicenda era diventata di dominio pubblico, a causa di social engineering e cyberbullismo prima e per il fatto – appunto – del suicidio in diretta sulla piattaforma social più utilizzata dalla Generazione Z. Ancor più complesso è spiegare quello che sarebbe potuto accadere a Roma se la compagnia dei carabinieri Casilina non fosse intervenuta prontamente per evitare la diffusione di un video di un altro suicidio.

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Suicidio Centocelle, i carabinieri hanno evitato che il video potesse circolare

Ad aver assistito alla scena del tragico gesto di un dodicenne c’erano tanti coetanei. Questi ultimi hanno – quasi per un istinto irrefrenabile, un riflesso automatico – tirato fuori i propri smartphone e hanno iniziato a riprendere tutta la scena. Fortunatamente, i carabinieri se ne sono accorti e – prima che tutti abbandonassero il luogo del tragico suicidio – li hanno identificati, chiedendo loro di rimuovere ogni video dai propri dispositivi. C’è stato bisogno di ricordare a questi ragazzi che, una volta identificati, l’eventuale presenza in rete del video del suicidio avrebbe portato alla rapida identificazione del responsabile della pubblicazione. Con tutte le conseguenze del caso.

Vale appena la pena ricordare che la diffusione di queste immagini sul web avrebbe comportato una violazione del regolamento sulla privacy, oltre che una estensione del dolore per la famiglia della giovane vittima. Ma se c’è stato bisogno di impegnare le forze dell’ordine in una lunga operazione di identificazione dei testimoni presenti e del monitoraggio dei loro dispositivi volto alla cancellazione dei video, significa davvero che qualcosa ci è letteralmente sfuggito di mano.

L’esposizione del dolore è automatica, la ricerca del consenso attraverso la circolazione di materiali multimediali “esclusivi” non si ferma nemmeno di fronte alla lesione della dignità altrui. Un male del secolo che, come tante altre cose legate alla rete, sembra essere irreversibile. Se si conta, poi, quanto poco tempo possa passare dalla realizzazione di un video alla sua condivisione, capiamo bene che anche un’operazione tempestiva come quella dei Carabinieri non possa essere in grado di assicurare al 100% che quelle immagini non vengano diffuse. Bisognerà continuare a monitorare la rete, anche nei prossimi mesi: alla pornografia del dolore non c’è mai fine.

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