La casa di Jack: Lars e le ragazze tutte sue | Recensione

28/02/2019 di Redazione

La casa di Jack, o meglio The House that Jack Built, ennesimo film di Lars Von Trier a cui è facile aggiungere il sostantivo “scandalo”. Quello che solitamente avviene quando le opere del regista danese arrivano a Cannes, etichettate ancor prima di essere viste. Un gioco stantio, ma sempre divertente, almeno per Lars.

Già, perché di fatto il cinema di Von Trier questo è, se non da sempre, almeno da molto tempo. Un suo personalissimo trastullo, fatto per non annoiarsi da una parte, e per non impazzire dall’altra. Provocazioni cinematografiche talmente eclatanti da essere quasi sempre fini a se stessi, esaltanti per molti, irritanti per altri, francamente indifferenti nella maggior parte dei casi. Il cinema di Von Trier è fatto per restare comunque nella memoria, in un modo o nell’altro, e almeno sul piano dell’autopromozione merita applausi a scena aperta.

Tutti ricordano Idioti, film di rara pochezza, ma fu il primo Dogma Movie del creatore stesso del Manifesto. Vennero fuori un pugno di film da quello scherzo, un paio anche buoni, tra questi non il suo. Ma poco gliene importava. Così come nessun interesse aveva nella famosa annunciata trilogia, DogvilleManderlayWashington, esercitazione brechtiana costruita per sperimentare nuove perversioni e alimentare la sua leggendaria misoginia. Fatti i primi due, passò oltre, spaziando poi, in ordine sparso, dal dramma familiare di fantascienza al dramma familiare horror al “fatti una famiglia” di Nymphomaniac. Film che hanno progressivamente perso la loro carica pseudo sovversiva, perché si sa, un gioco è bello quando dura poco.

Deve averlo capito anche lui, e anche se apparentemente La casa di Jack potrebbe essere l’ennesimo film “estremo e malato” di Lars Von Trier, questa volta di ludico c’è poco. Jack, serial killer che predilige ovviamente le donne, ma che non si fa problemi a squartare maschietti, è un architetto, un artista frustrato, una persona disturbata soprattutto perché non ricorda più perché uccide. O fa film.

La casa di Jack è una lunga seduta di psicanalisi

Ma questa volta Von Trier non gode nel disturbare e inorridire. Anzi, tragicamente gli è del tutto indifferente. Ha ben altri problemi. Ogni delitto un film, una volta compiuto lo mette in una stanza, insieme a tutti gli altri, in attesa un giorno di guardarli e capire perché.

La casa di Jack, un piacevole esorcismo

Che Von Trier pratica su se stesso. Lo mette in scena e lo porta avanti con uno stile insolitamente asciutto, crudo e asettico al contempo, a tratti perfino sciatto, se confrontato con la perfezione formale ostentata di molte altre sue opere. Ogni tableaux è una variazione sul tema, per l’ispirazione attinge a se stesso, ai suoi film e alle sue passioni. Svaria da Gregory Crewdson ad Antichrist, da Le onde del destino a Bob Dylan. Matt Dillon, attore magnifico e discontinuo, che si cala completamente nella parte e tira fuori una performance da applausi.

La casa di Jack Matt Dillon

La casa di Jack è anche una delle ultime interpretazioni del Bruno Ganz, che si cimenta nel ruolo di Virgilio che accompagna Jack-Lars nel suo personalissimo Inferno. Che si è costruito benissimo da solo. E forse anche per questo, stavolta, non ci dispiace più di tanto dover assecondare le perverse confessioni di un artista di merda. Sempre con il dubbio, e forse anche la certezza, che ci stia per l’ennesima volta prendendo per il culo.

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