Riccardo Magi: «Bocciatura firme digitali per le liste? I partiti vogliono che la procedura resti nell’oscurità»

Il presidente di +Europa attacca. E sul M5S dice: «Ennesima dimostrazione che Rousseau non aveva nulla a che fare con la democrazia digitale»

17/12/2021 di Redazione

Il caos sull’emendamento per dare il via libera alle firme digitali per la presentazione di liste e candidature è il tipico esempio di pantano da commissione parlamentare, soprattutto a ridosso delle scadenze. La proposta di Riccardo Magi di +Europa si è arenata nella logica delle strategie politiche, di quei movimenti tra partiti che sono tristemente tradizionali nelle schermaglie di fine anno. Il punto centrale è che, a causa di questo motivo futile, l’Italia ha perso un’occasione per fare un passo avanti verso la sburocratizzazione, verso la sicurezza del processo democratico e la sua trasformazione digitale.

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Riccardo Magi, l’amarezza dopo la bocciatura dell’emendamento sulle firme digitali

«Le questioni che vengono lasciate per ultime alla fine della discussione e non vengono sciolte in tempo inevitabilmente si espongono a questi rischi e si risolvono, come in questo caso, nel modo peggiore – dice Riccardo Magi, raggiunto da Giornalettismo -. La firma digitale con Spid avrebbe rappresentato un salto di qualità dal punto di vista della legalità e della trasparenza in uno dei momenti più delicati della vita democratica di un Paese, che è quello in cui si presentano le candidature per le elezioni, che è allo stesso tempo una delle fasi più opache e più illegali. Sistematicamente ci sono inchieste giudiziarie perché si fanno firmare i morti o si fanno firmare persone che non sanno nemmeno dell’esistenza di quel partito o di quella lista».

La firma digitale per la presentazione delle candidature avrebbe dovuto essere un passaggio scontato. Sia per il quadro normativo che, nei fatti, la prevede, sia per un discorso di continuità con la raccolta firme digitali per il referendum. Uno strumento che ha dimostrato, in questi sei mesi, di essere funzionale e che ha favorito un allargamento della partecipazione democratica.

«L’introduzione della firma digitale per la presentazione delle liste – spiega Magi – è già prevista dal Rosatellum. Questa cosa viene sistematicamente ignorata. Il Rosatellum chiedeva al governo, attraverso decreti, di adottare il sistema delle firme digitali. Ma gli esecutivi che si sono susseguiti, in modo particolare i titolari del ministero dell’Interno, non hanno mai fatto delle transizioni di questo tipo, perché non interessati a modificare il modo in cui si è lavorato negli ultimi cinquant’anni. Per questo era doveroso, per il Parlamento, affrontare questo tema».

L’attacco ai partiti e alla loro gestione della raccolta firme per la presentazione delle candidature

Critiche su questo emendamento sono arrivate da più fronti. Il leghista Claudio Borghi ha addirittura parlato di “emendamento Fedez“, senza però cogliere nel segno la novità e la necessità della proposta. In più sono state sollevate questioni sulla pertinenza dell’emendamento con il dibattito sulla legge di bilancio. «La pertinenza dell’emendamento con il decreto Pnrr sarebbe stata rispettata – ribatte il presidente di +Europa -. Vi è infatti un intero capo, il capo IV, dedicato al rafforzamento delle iniziative di transizione digitale nella pubblica amministrazione e quindi tutta una parte sull’anagrafe pubblica dei residenti. Che, di fatto, è anche anagrafe pubblica degli elettori: è quel sistema con cui vanno matchate le firme raccolte digitalmente, proprio come abbiamo visto con l’emendamento per la raccolta firme digitali per i referendum che è stato introdotto a luglio».

La battaglia, in ogni caso, andrà avanti. Anche perché, secondo Magi, non si può lasciare alla gestione dei partiti un momento così delicato per la democrazia come può essere la raccolta firme per la presentazione di una candidatura: «Io sono l’unica persona che è assolutamente convinto della consequenzialità tra il fatto di aver consentito la raccolta delle firme digitali per il referendum e l’eventuale raccolta delle firme digitali per la presentazione delle candidature. Ma ci sono delle resistenze che non sono soltanto amministrative e burocratiche. Ci sono delle vere e proprie resistenze politiche, perché sembra che questa parte di normativa che riguarda la presentazione della lista, di rilievo costituzionale, deve restare in mano ai partiti e nell’oscurità. Le scorciatoie sulle firme per la presentazione delle liste si possono trovare se ci sono dei moduli cartacei, non si possono trovare con le firme digitali. La conseguenza è che una normativa sempre uguale a se stessa rappresenterà inevitabilmente uno sbarramento nei confronti di nuove forze che vogliono candidarsi».

In conclusione, una stilettata anche al Movimento 5 Stelle, a quel partito dei meet-up, della fu piattaforma Rousseau, dell’uno vale uno e della democrazia diretta. Sono state proprio le assenze dei pentastellati – più o meno calcolate – a far saltare l’emendamento: «È la conferma di quanto quelle parole fossero esposte al vento, di quanto Rousseau non aveva nulla a che fare con la democrazia, né tantomeno con la democrazia digitale. Ma di questo avevamo avuto conferma già da tempo. Quando li ascolteremo ancora parlare di digitale, innovazione applicati agli esercizi politici dei cittadini e della democrazia, sappiamo che conclusioni trarre. Io ancora aspetto, ad esempio, un referendum promosso da quella parte politica. Quando passa del tempo e le parole non corrispondono ai fatti, la credibilità subisce un deterioramento. È inevitabile».

Foto IPP/Fabio Cimaglia – Roma

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