ISIS a due facce: distrugge le statue ma guadagna il traffico delle antichità
27/02/2015 di Redazione
L’ISIS ha scioccato ancora una volta il mondo con la distruzione sistematica del patrimonio archeologico della città sumera di Ninive ospitato nel museo di Mossul. L’ISIS ha utilizzato questa distruzione per rafforzare la sua propaganda fondamentalista, ma in realtà in questi mesi di costruzione dello Stato islamico in Siria e in Iraq una delle fonti di entrata più rilevanti per le casse dell’organizzazione di al-Baghdadi è rappresentata dal contrabbando dei reperti archeologici.
L’ISIS E I BENI ARCHEOLOGICI –
La distruzione del patrimonio archeologico delle culture diverse da quella islamica fa parte della propaganda delle organizzazioni fondamentaliste. Nel 2001 i Talebani scioccarono il mondo con la barbara distruzione delle enormi statue del Buddha di Bamyan, e una quindicina d’anni dopo i miliziani dell’ISIS hanno compiuto una simile opera di propaganda a Mossul. Per dimostrare la loro forza e determinazione prima dell’avvio della campagna dell’esercito iracheno, sostenuto dagli Stati Uniti, al fine di strappare la città dalle mani delle milizie di al-Baghdadi i guerriglieri dell’ISIS hanno distrutto i tesori inestimabili presenti nel museo di Mossul. Non è la prima volta che l’organizzazione terrorista compie simili gesti, visto che già a giugno del 2014, subito dopo la conquista della città, l’ISIS aveva fatto esplodere numerose chiese e moschee, tra cui il famoso mausoleo del profeta Giona. A gennaio erano stati incendiati circa otto mila manoscritti ospitati dalla biblioteca universitaria. Un articolo di Die Zeit spiega però come l’ISIS spesso preferisca non distruggere i beni archeologici, per rivenderli sul mercato nero e guadagnare così molti soldi sul mercato nero.
In Siria i guerriglieri dell’ISIS hanno saccheggiato i musei di Aleppo e Raqqa subito dopo la loro conquista. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite dall’inizio della guerra civile scoppiata nel 2011 sono stati danneggiati trecento siti storici, tra cui il famoso Krak dei Cavalieri di Homs. Circa mille ottocento dei dodici mila siti archeologici in Iraq si trovano all’interno dei confini del califfato. I beni archeologici trafugati da Siria e Iraq vengono commercializzati sul mercato nero grazie all’intermediazione di numerosi uomini d’affari, specializzati nella rivendita di questo immenso patrimonio a clienti europei, americani oppure arabi. Secondo i conti dell’ISIS questo traffico di beni archeologici è particolarmente fruttuoso, visto che solo nella sola zona di al-Nabuk a nord di Damasco sono state generate entrate per 36 milioni di dollari, grazie alla vendita di spade di bronzo, statue di marmo o altre preziose reliquie del passato. Il giro d’affari complessivo è stato pari a 150 milioni di dollari, visto che l’ISIS guadagna circa il 20% da questa vendita, e i mediatori ottengono ricompense tra il 2 e il 5% di quanto contrabbandato. Il traffico di antichità a livello mondiale è stato stimato da Unesco e Interpol tra i sei e gli otto miliardi di dollari, una cifra imponente e in rapida crescita. L’ISIS è diventato in poco tempo uno degli attori principali di questo mercato, che al momento rappresenta per il califfato la seconda fonte di entrata dopo il contrabbando del petrolio.