Nel 2019 ancora non abbiamo capito il senso del Pride

09/06/2019 di Enzo Boldi

Allegoria e iperbole. Sono due figure retoriche che, forse, alcuni italiani non conoscono o faticano a comprendere. Nonostante il nostro Paese sia considerato da molti come la culla della cultura, della letteratura e della poesia, appare evidente come una porzione – vasta – dei nostri concittadini non riesca a distinguere ciò che viene rappresentato dal motivo per cui viene rappresentato. E così il Pride – la marcia colorata per difendere i (pochi) diritti delle coppie gay e chiedere maggiore tutela anche nelle leggi dello Stato – diventa un motivo per sperticarsi in insulti contro la comunità LGBT+ e il loro modo di chiedere maggiore attenzione a chi ci governa.

Sabato in tutto il mondo è andato in scena il Pride, la manifestazione universale delle comunità omosessuali (e non solo) e sui social – la sempre più dannata tana dei leoni da tastiera, unico ‘animale’ che sembra non rischiare l’estinzione – si sono scatenati personaggi vari che hanno voluto dire la loro sui vari cortei. Giornalettismo ha seguito la marcia pacifica di Roma che ha colorato le strade della capitale con i colori dell’arcobaleno. E al video che ne ha raccontato i dettagli sono arrivati diversi commenti di chi, come spesso capita, non riesce ad andare oltre alle iperboli.

Gli insulti al Pride

Dicesi iperbole: «Figura retorica, consistente nell’esagerazione di un concetto oltre i termini della verosimiglianza, per eccesso (le grida salivano alle stelle) o per difetto (non ha un briciolo di cervello)». Il tutto per rafforzare un concetto di base che va oltre la stessa rappresentazione. La definizione è ripresa dal vocabolario dell’enciclopedia Treccani e serve per far capire – per chi ancora non lo avesse in mente – il vero senso del Pride. In molti utenti, infatti, se la prendono con chi scende in piazza vestito, truccato e colorato. Per tanti tutto ciò è una «pagliacciata» e un carnevale. Stessa cosa si potrebbe dire anche dei tifosi che si colorano e pitturano il volto con i colori della propria squadra del cuore e scendono in strada con i bandieroni, o di chi va a una manifestazione politica (di qualunque partito) con scritte che inneggiano a questo o quel politico e vessilli vari. Ma no, lì è tutto lecito. A dare fastidio sono i colori dell’arcobaleno.

L’iperbole e l’allegoria: le figure retoriche che gli omofobi non conoscono

«Quali sarebbero i loro diritti» si chiede un utente. E un altro rincara «e i doveri?». Come se i doveri si dovessero basare sui gusti sessuali di una persona e come se un uomo o una donna gay non rispettassero il codice penale e civile. Ma questo è il populismo base di chi non conosce iperboli e allegorie e non riesce a distinguere la propria eterosessualità da chi, invece, ha semplicemente dei gusti diversi. E il Pride, colorato, truccato e chiassoso è proprio l’allegoria iperbolica di come il mondo LGBT+ vive la sua vita e chiede a tutti solo rispetto ed uguali diritti.

La vagonata dei commenti contro il Pride prosegue e l’atto d’accusa è sempre lo stesso: l’ostentazione. Ma c’è anche una luce in fondo al tunnel, dove i leoni da tastiera forse non riusciranno mai ad arrivare, rinvigoriti dalle spallucce social e dalla forza di non avere argomenti ma sciorinarli come un buon politico. Ed è il commento di una donna che spiega: «Ma quanti ben pensanti, mai nessuno che si indigni per un ventennio in TV di culi e tette in prima serata, o di un programma come il grande Fratello o ciao Darwin, schifezze propinate in prima serata da far rabbrividire, ma i bacchettoni si indignano per una giornata di festa e colore, siete di in ipocrisia che rasenta il ridicolo». La verità fa male.

(foto di copertina: ANSA/MASSIMO PERCOSSI)

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