Paragone e gli altri: l’enigma dell’M5S alla vigilia di un voto cruciale

Sale la tensione, nel Movimento Cinquestelle, alla vigilia del voto sulla piattaforma Rosseau che potrebbe decretare la nascita o lo stop al governo giallorosso. Che la base sia in fibrillazione è testimoniato  dall’incontro pomeridiano tra Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio, i due “gemelli diversi” della galassia pentastellata, certamente i più popolari prima del boom di popolarità di Giuseppe Conte. Sì perché l'”avvocato del popolo”, passato in breve da notaio del contratto di Governo gialloverde a fustigatore dei sogni egemonici di Matteo Salvini, piace a molti, e piace anche quando si svincola (non sappiamo quanto tatticamente) dai pentastellati.

C’è chi dice “No”: l’appello di Paragone

Chi sembra non avere dubbi è Gianluigi Paragone, che aveva del resto preannunciato la sua uscita dal Movimento in caso di accordo con il Partito Democratico. L’ex conduttore di La7 ha invitato la base a votare “NO” all’accordo col PD scomodando addirittura Vasco Rossi e la celebre “C’è chi dice No”.

Ma il rocker emiliano non è la sola fonte d’ispirazione. Per motivare il suo “No”all’accordo, Paragone cita espressamente Federico Rampini, storica firma di Repubblica e il suo ultimo libro “La notte della sinistra”. La colpa del PD sarebbe quello di essere ormai il partito dei poteri forti, delle élite e dei gruppi finanziari, più attento ai diritti dei migranti che alle esigenze delle classi popolari italiane, un partito con il quale non si può assolutamente scendere a patti.

Chi è favorevole all’accordo con il PD

Nella vigilia prevale generalmente la discrezione, ma c’è anche chi prende posizione e non nega il suo appoggio a un’eventuale governo con il PD. È il caso di Carlo Sibilia, che ricorda lo scetticismo che serpeggiava quando si trattava di siglare un accordo con la Lega.

Non ha dubbi nemmeno il sottosegretario agli Esteri Manlio di Stefano, che delinea chiaramente i rischi di un possibile nuovo Governo a trazione leghista senza l’M5S. La parola d’ordine sembra essere, in questo caso, una sola: ovvero “continuità”.

Una posizione condivisa anche dal senatore Alberto Airola: «Scegliere di andare a votare oggi vuol dire andare incontro a una manovra lacrime e sangue. Significa assecondare i deliri di onnipotenza di Salvini che, da una spiaggia, ad agosto, tra un cocktail e l’altro, ha deciso di fermare l’azione del governo dopo un anno». 

Ragionamento condiviso anche da un altro senatore: il presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra che argomenta che se il Movimento è riuscito a raggiungere importanti risultati con la Lega, allora è possibile farlo con chiunque.

L’appello della Lega a chi non vuole l’accordo nell’M5S

Dall’altra parte anche la strategia della Lega sembra prendere atto del punto di non ritorno costituito dal voto di domani. «Le porte della Lega sono e saranno sempre più aperte» ha dichiarato ieri Salvini alla festa della Lega di Alzano Lombardo (Bergamo), aggiungendo:  «Nei mesi passati abbiamo detto tanti no, se c’è comunanza di idee vedremo. Rispetto la coerenza e la dignità di quegli elettori ed eletti dei 5 Stelle che dicono ‘io sono entrato in politica per contrastare il Pd e Renzi e voi mi ci mandate al governo». Un’affermazione che manda su tutte le furie molti esponenti pentastellati.

«Sia chiaro: se qui c’è un partito pronto a dar luogo ai mercati generali delle poltrone, quel partito è la Lega. E lo fa nel modo più subdolo, cioè mettendo in giro voci velenose di eletti del M5s pronti a vendersi per trenta denari. Un mercimonio che rispediamo al mittente con forza, perché ciò che è accaduto nell’ultimo mese è noto a tutti gli italiani. Salvini ha combinato un disastro epocale scaraventando il paese nel caos in una notte di mezza estate e i parlamentari della LEGA se ne sono resi conto. Così, ora, tentano la mossa della disperazione e farneticano di potenziali traditori, quando in realtà sono loro a mettere sul mercato poltrone. Siamo a livelli di indecenza mai visti» ha replicato il senatore M5S Marco Croatti all’ex alleato. Segno di una tensione che, a poche ore di quello che potrebbe essere un vero e proprio voto storico per il Movimento, non accenna a diminuire.

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