Possibile che il “baluardo” del giornalismo contro la disinformazione sia Papa Francesco?

La consegna del premio "È giornalismo 2023" al Pontefice apre una finestra di riflessione sullo stato dell'informazione nel nostro Paese

28/08/2023 di Enzo Boldi

Dicesi “baluardo”: «Nell’antica architettura militare, fortificazione composta da terrapieni e strutture di sostegno, in genere scarpate in muratura, su pianta poligonale. In partic., l’elemento caratteristico della fortificazione bastionata (detto anche bastione), che consiste nelle opere difensive sporgenti dalle cortine soprattutto in corrispondenza degli angoli della cinta perimetrale». La definizione del vocabolario dell’Enciclopedia Treccani e la sua “estensione fisica”, sono due elementi necessari per questa riflessione relativa alla consegna del premio “È giornalismo 2023” a Papa Francesco per i suoi dialoghi sulla pace e i suoi continui riferimenti alla lotta alle fake news.

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Perché il conferimento di questo riconoscimento dovrebbe far riflettere – e non poco – tutti gli attori del mondo dell’informazione sulla direzione che il mondo del giornalismo, in Italia, ha preso da anni. Perché se è vero che Papa Francesco contro fake news è una battaglia che il Pontefice conduce da tempo (basti pensare al ruolo della sala stampa Vaticana e ai suoi giudizi sugli abusi ingannevoli sulle piattaforme social), è altrettanto vero che molte delle parole pronunciate e reiterate dal Pontefice devono aprire un ampio spazio di auto-critica per chi opera in questo settore.

Papa Francesco contro fake news, è lui il baluardo?

Tra le motivazioni che hanno portato al conferimento di questo premio, la giuria ha sottolineato un aspetto: «Papa Francesco usa il dialogo per dire parole di pace, un segnale importante per le nuove generazioni e per tutto il mondo dell’informazione in generale». Dunque, si parla di dialogo per la pace (non solo relativamente alla guerra in Ucraina). Ma le parole di ringraziamento pronunciate dal Pontefice in occasione dell’assegnazione di questo premio spostano l’asticella ancora più in alto, parlando dei “quattro peccati del giornalismo“.

È dunque lui il baluardo del giornalismo italiano, con tanto di premio? A quanto pare, sì. Ma è un paradosso. Al netto della genesi del suddetto riconoscimento (in passato è stato assegnato a Rosario Fiorello, Antonio Ricci e Fabio Fazio, tra i tanti), questa assegnazione deve far riflettere – e non poco – il mondo dell’informazione italiana. Non parliamo di un Premio Nobel e neanche di un Pulitzer. Parliamo di un riconoscimento che sembra essere circoscritto e che dà un’indicazione sullo stato di salute del giornalismo italiano. Parlare di pace è il tema attorno a cui si è permeata la decisione di assegnarlo a Papa Francesco. E sono in pochissimi a saper parlare (anche se è netta ed evidente la differenza tra il dire e il fare) di pace relativamente ai due blocchi contrapposti nel conflitto in Ucraina. Ma non c’è solamente questo. Perché si parla anche di “deformazioni professionali”. Un giornalista, come spiegano le carte deontologiche e dei doveri che regolamentano il mestiere, deve raccontare la verità dei fatti e non una propria rappresentazione personale. Eppure l’informazione italiana sembra non riuscire più a seguire quella stella cometa, necessaria per acquisire credibilità agli occhi del pubblico. Ma, ormai, questo non accade più da anni. Al netto di qualche rara eccezione.

I vizi e i peccati

Vizi e peccati citati da Papa Francesco. La disinformazione è il problema principale, seguito da quello che il Pontefice ha definito “coprofilia”. Se le altre due gravi questioni (calunnia e diffamazione) sembrano essere temi collaterali, i due punti principali del discordo del Papa sembrano essere la perfetta rappresentazione di quei mali atavici da cui sono afflitti il giornalismo e i giornalisti italiani oggi. Le fake news – come sappiamo – sono sempre esistite, ma con il digitale anche i quotidiani hanno superato quel limite invalicabile per un’informazione corretta.

Sempre più spesso, infatti, troviamo giornali che “ragionano” per partito preso (in senso politico e non solo): quotidiani che seguono battaglie ideologiche travalicando anche il principio di verità, solo per andare a seguire un “credo” o – come accade nella maggior parte dei casi – andare a cercare “lettori” all’interno di un ecosistema fatto di complottismi e cospirazioni, al di là di realtà conclamate dai fatti. Poi c’è quella rincorsa al sensazionalismo macabro sulla cronaca nera: tragedie, omicidi, atti di violenza che non vengono raccontanti secondo le regole deontologiche. Si tende sempre ad andare oltre, scavando nelle vite delle vittime e dei carnefici, non fermandosi (spesso) davanti a quei limiti necessari per non cadere nel voyeurismo.

Il premio “papale”

Peccati e vizi che, dunque, ci riportano all’assunto iniziale: può essere il Papa (o qualunque altro esponente del mondo civile, al di fuori dei giornalisti) a vincere un premio “giornalistico”? A quanto pare, la risposta a questa domanda è “sì”. Un baluardo esterno visto che chi è all’interno ha serie difficoltà, spesso fagocitato dalla corsa al pubblicare per primo una notizia, a volte non preoccupandosi se quanto scritto sia veritiero o falso. Deve far riflettere il fatto che un riconoscimento simile sia stato consegnato a un rappresentante (il massimo, per quel che riguarda il Cattolicesimo) di una fede religiosa. Perché la fede religiosa è, per definizione, un affidamento e una convinzione irrazionale, ovvero in un qualcosa di non tangibile fisicamente.

Segue dogmi (e non vale solo per la religione cattolica) al centro di controversie millenarie. Convinzioni fideistiche che, spesso e volentieri, hanno provocato (e provocano ancora) dibattiti aspri tra chi crede e chi non crede. Ed ecco il paradosso: il baluardo del giornalismo, in Italia, è un uomo di Chiesa secondo la giuria del premio “È giornalismo”.

 

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