Dai commenti su Skype alle molestie offline: le modalità della chat We Are Social

I commenti osceni e le battute, secondo le testimonianze, portavano anche alle molestie offline e contribuivano a creare un clima aziendale in cui nessuna donna avrebbe potuto sentirsi a proprio agio

23/06/2023 di Ilaria Roncone

La chat Skype utilizzata, in un contesto lavorativo, come mezzo per dire cose oscene sulle colleghe e – di fatti – portare al compimento di molestie offline. Questo è quanto si può ricostruire dalle cronache degli ultimi giorni che, da una settimana circa, mettono al centro il problema sistemico di molestie nel mondo delle agenzie pubblicitarie e – in particolar modo – nella realtà di We Are Social. Proprio in questa azienda ha avuto luogo lo scambio di battute e frasi oscene in quello che è classificabile come un’azione di molestie chat Skype avvenute tra il 2016 e il 2017.

Sulla chat Skype in questione è stata avviata un’indagine interna – come dichiarato da uno dei tre soci fondatori, Gabriele Cucinella-, e nella confusione generale stanno emergendo altre testimonianze di dipendenti scappati – negli anni successivi – perché maltrattati e in burn out. Non si tratta solo di We Are Social, sia chiaro, poiché da un primo #metoo di Tania Loschi sul suo profilo Instagram è iniziata la raccolta da parte sua di tutta una serie di storie che mettono in evidenza – al di là di chi dice “non tutte le agenzie”, cosa sicuramente vera ma che non deve fungere da giustificazione o da tappeto sotto cui nascondere un quantitativo di polvere che è decisamente notevole – un problema sistemico, frutto di una cultura e di dinamiche radicate, che deve essere conosciuto, compreso e analizzato. Con lo scopo, va da sé, di porre fine alla questione.

 

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Dall’online all’offline, le modalità delle molestie digitali

Raccogliendo le testimonianze delle persone coinvolte è emerso come – spesso e volentieri – i commenti indecenti e le volgarità dette nella chat online portassero anche a conseguenze nella vita reale. Vediamo qualche esempio ma, prima, forniamo tutti i dati noti su questa famosa chat: 80 utenti – nonostante Cucinelli abbia dichiarato a Repubblica come all’epoca l’agenzia non avesse 80 dipendenti uomini, possiamo supporre che chi entrava nel gruppo non uscisse anche dopo aver terminato lo stage -, tutti uomini, dall’ultimo stagista al capo della piramide. Esclusi i soci, stando – appunto – a quello che ha dichiarato Cucinelli.

Nelle varie ricostruzioni fatte raccogliendo le testimonianze delle persone coinvolte spicca quella della fonte anonima intervistata da Selvaggia Lucarelli sul Fatto Quotidiano. Da queste parole emerge come le molestie e i commenti osceni avvenissero online, certo, ma con effetti concreti sul clima dell’azienda e anche portando le molestie offline in certi casi. La persona intervistata ha parlato di «un clima da liceo dove le persone invece che avere 14 anni avevano dai 21 ai 32 anni circa, poi c’erano i director di tutti i team che magari ne avevano 40-45».

Di uno dei dirigenti è stato detto: «Uno dei superiori, P., provava gusto nell’umiliare i dipendenti. Entravi lì (una stanza con pareti a vetro prima qualificata come “la stanza delle umiliazioni” n.d.R.) e ti diceva di tutto, diventava rosso dalla rabbia, ho visto ragazze uscire piangendo, altre persone tremare. Lui era lo stesso che chiedeva a una stagista di andare al lavoro senza mutande o che diceva che non si doveva mai nominare sua moglie nelle chat sessiste».

Una chat dalla quale bisognava essere presenti – se si era un dipendente uomo – come rito di iniziazione. Un collega uomo ha spiegato alla persona intervistata «che la gente che esce da quella chat viene ributtata dentro. Che chi ti ributta dentro sono i tuoi supervisori, i tuoi direttori creativi, come fai a dire di no? E poi se non ci vuoi stare, “come fai a non trovare niente di divertente? Avrai un commento da fare, Madonna mia, fatti due risate. Cosa sei, frocio?”».

Un clima ben tratteggiato – di quelli che molti, in Italia, definirebbero “goliardico” – e che, difatti, nella chat Skype trovava un mezzo per coordinare le molestie offline: «Di base – prosegue l’intervistata dal Fatto Quotidiano – si parlava di fighe che lavoravano nell’agenzia. C’era una sentinella per piano che avvisava quando le ragazze facevano le scale da un piano all’altro. I commenti erano tipo: le toglierei quelle cazzo di mutande» o, ancora – durante le riunioni – «si scrivevano. Robe tipo: “perché si è messa il reggiseno? Sapete che io ho un debole per il capezzolo duro!”, oppure: “Sono in riunione con …, ho il cazzo duro da un’ora, ora vado in bagno!”». E alle nuove, potenziali dipendenti veniva riservato un trattamento speciale: appena fuori dal colloquio, i loro profili social venivano condivisi sulla chat degli 80 e commentati (a questo punto, ci si può immaginare con che toni).

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