We Are Social è la punta dell’iceberg: le altre segnalazioni raccolte su Instagram

Di quella famosa "chat degli '80" se ne parlò in un podcast nel 2020. Ora, però, con il nome dell'agenzia pubblicitaria trapelata, moltissime altre persone hanno raccontato la propria esperienze. Anche in altre realtà

23/06/2023 di Gianmichele Laino

Una chat il cui accesso era limitato ai soli uomini. Una chat di cui si era parlato nel 2020 nel corso di un podcast. Una chat che ora ha squarciato il velo di Maya, facendo saltare il banco e portando a una lunga serie di racconti che vede come protagonisti “uomini” di diverse agenzie pubblicitarie e come vittime le donne. La vicenda emersa negli ultimi giorni, quella che vede coinvolta l’agenzia We Are Social, è solo la punta dell’iceberg di un sistema di molestie sessuali perpetrate nel tempo, attraverso piattaforme e file excel in cui si sfogavano i peggiori istinti testosteronici, con giudizi volgari sulle colleghe, voti e sfoghi dialettici di stampo sessuale.

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Un vaso di Pandora scoperchiato da Massimo Guastini che, nel corso di un’intervista “social” rilasciata al profilo anonimo su Facebook “Monica Rossi“, ha parlato di questo sistema. Con tanto di nomi e cognomi. Da lì si è iniziato a parlare di quella chat interna – riservata a soli uomini (80) – utilizzando Skype, in cui i dipendenti di We Are Social si scambiavano messaggi (e non solo) sulle donne presenti in azienda. Ovviamente tutto condito da uno spiccato sessismo, andando anche a “scandagliare” all’interno dei canali social privati di queste donne.

We Are Social e non solo, le denunce di molestie

Il caso We Are Social, ora, è oggetto di molti articoli giornalistici che hanno ribattezzato questa vicenda sotto il concetto di “Me Too delle agenzie pubblicitarie“. Una sintesi che racchiude una serie di testimonianza che molte donne hanno voluto inviare a Tania Loschi che – sulla sua pagina Instagram – ha iniziato a condividere le esperienze che altre donne hanno vissuto sulla loro pelle nel corso delle proprie esperienze lavorative. La stessa pubblicitaria freelance ha creato – in collaborazione con Linda Codognesi e altre persone (che avevano lavorato anche per We Are Social) – una piattaforma per gestire le segnalazioni (in forma anonima) e le denunce.

E sul suo canale Instagram è stata pubblicata solamente una parte di quelle decine di racconti fatti di molestie (alcune anche fisiche) subite della donne nel corso della loro permanenza in un’agenzia pubblicitaria. Piccole, medie e grandi realtà: un fenomeno diffuso. E, da queste testimonianze – tra cui ci sono anche uomini che hanno confermato queste dinamiche diffuse a tutti i livelli – è emerso un dato quasi costante: la presenza di chat private al cui interno potevano accedere solamente gli uomini dell’azienda. Senza gerarchie, in una sorta di cameratismo in cui non esistono vertici e dipendenti. Con il fil rouge rappresentato dai giudizi sessualmente espliciti sulle loro colleghe.

Le molestie sessuali sul posto di lavoro

Chat, file Excel e non solo. Dopo aver squarciato il velo di Maya, molte donne – sfruttando l’eco mediatica della pagina Instagram di Tania Loschi – hanno raccontato che le molestie non si limitavano a commenti spinti in chat. Alcune hanno denunciato tentativi di approccio sessuale da parte dei colleghi o “battute” sessualmente esplicite che – ovviamente e naturalmente – non potevano che metterle in imbarazzo. Perché tutto ciò accadeva in alcuni casi davanti a tutti, in altri in forma privata. Dunque, un fenomeno diffuso. Senza confini. E la storia di We Are Social sembra essere solamente l’inizio. Giornalettismo ha contattato Tania Loschi, Linda Codognesi per poter avere – dalla loro viva voce – un racconto ancor più approfondito dei racconti che da giorni continuano a ricevere. Non appena ci risponderanno, aggiorneremo i nostri contenuti attraverso i loro racconti di questo orrore di cui ora si sta parlando.

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