I vostri gusti sono un’arma per qualcuno, lo sapevano anche i bufalari

Cambridge Analytica ha sollevato un vespaio sul quale eravamo seduti da tempo, ma serviva una puntura molto dolorosa per farcelo notare. La società inglese sosteneva di aver sviluppato un sistema di microtargeting comportamentale per avviare attività di pubblicitarie personalizzate su ogni singolo utente, ma potremmo fare un passo indietro parlando di polarizzazione e camere d’eco.

In un modo o nell’altro si possono ottenere informazioni sul vostro conto, basta che siate iscritti ad un social network come Facebook e con il vostro account facciate parte di un gruppo. Non c’è nulla di nuovo, chi si occupa di marketing conosce certi trucchi e sa come sfruttarli a proprio favore, basti pensare come un gruppo Facebook dove si parla di prodotti di cosmetica possa essere influenzato da una giovane blogger che promuove una serie di prodotti, ma dietro a quel faccino angelico c’è un esperto (uomo) che opera per conto di uno specifico marchio al fine di ottenere nuovi “utenti testimonial” che promuovano a loro volta un rossetto o un mascara.

Mettetevi nei panni di chi deve ottenere un risultato tramite i social network e ponetevi le seguenti tre domande: “Quali sono i miei obiettivi?”, “Chi è il mio pubblico?”, “Capisco il mio pubblico?”. L’obiettivo è quello di influenzare gli interessi quello specifico pubblico di riferimento e per ottenere il risultato bisogna considerare una serie di “punti deboli” che possono appartenere ad ogni utente: credere in un’idea di come vanno le cose nel mondo che lo circonda sull’esperienza e la storia di qualcuno in particolare (ad esempio la falsa giovane blogger), l’influenza sul piano economico (un rossetto con ottimo rapporto qualità-prezzo) e i timori sulla propria salute (un prodotto considerato pericoloso va evitato).

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I bufalari conoscono molto bene questo sistema, l’avevano compreso molti anni fa e ne hanno fatto un uso intelligente nei social per anni. Cercano i gruppi Facebook dove si iscrivono utenti interessati ad un determinato tema o sostenitori di un gruppo politico, li studiano e valutano i contenuti da condividere al loro interno per generare traffico nei loro siti. Se pensiamo ai “punti deboli” citati in precedenza, sul tema immigrazione una bufala può far leva su una presunta esperienza personale sui migranti (“vengono a far vacanza da noi”), sulle questioni economiche legate all’accoglienza (“so che gli danno 35 euro al giorno e un iPhone per gozzovigliare da mattina a sera”) e la paura delle malattie mortali presenti in altri continenti (“ci portano l’ebola”). Situazioni di questo genere le riscontravamo in un gruppo Facebook chiamato “Tutti i crimini degli immigrati” (chiuso qualche anno fa) dove gli utenti rafforzavano e confermavano le loro idee e pregiudizi, non per niente tra gli iscritti c’erano i gestori dei siti bufalari più noti.

Se parliamo di prodotti la leva economica ha un peso non indifferente. In un gruppo Facebook di tecnologia, dove sono stati individuati una massa di utenti che si lamentano perché non possono permettersi l’acquisto di un costoso smartphone di ultima generazione, qualcuno potrebbe condividere un link ad un sito che organizza un concorso (falso) per ottenere l’oggetto desiderato, ma per partecipare devono rilasciare i loro dati personali. Dietro a quel sito ci potrebbe essere un gestore straniero che non si pone il problema del rispetto delle leggi italiane o europee, pronto a vendere tutti i dati raccolti al miglior offerente. Nel frattempo gli utenti che si sono iscritti al presunto concorso possono al massimo vincere una pacca sulle spalle (ma devono farsela da soli).

Continuando a considerare la sfera economica, un gruppo Facebook con ottanta mila utenti che lavora in affiliazioni e alla continua ricerca di codici sconto può essere venduto per mille cinquecento euro. Un gruppo come quest’ultimo appena descritto potrebbe portare un guadagno di circa cinquecento euro al mese se gestito in maniera adeguata. Ricordiamo che non ci sono solo i gruppi, anche le pagine Facebook dove voi avete messo il vostro “mi piace” sono un bene prezioso per la diffusione di materiale propagandistico. Una pagina Facebook ben sviluppata, legata ad un tema o più temi d’interesse e con oltre duecentomila utenti può essere venduta nel “mercato nero” per due mila euro.

Ora voglio mettervi una pulce nell’orecchio. Sul caso Cambridge Analytica si è parlato di dati prelevati da Facebook tramite delle applicazioni per poi farne un uso in ambito politico, ma anche i siti bufalari possono essere utili per conoscere gli interessi dei cittadini. Attraverso i diversi strumenti di analisi (come gli Insights di Facebook e Google Analytics) si possono ottenere informazioni su una bufala diventata virale, come l’età e il sesso degli utenti, la lingua parlata e la località da dove si sono collegati. Se ci pensate, per un partito politico interessato al tema dell’immigrazione sarebbe utile conoscere queste informazioni.

David Puente, esperto informatico, ci guiderà con diverse analisi sul problema della sicurezza dei nostri dati informatici, anche in Italia. Questo è un secondo estratto del suo lavoro con Giornalettismo. Qui tutte le puntate relative a Cambridge Analytica e non solo.

 

(foto di repertorio Marijan Murat/dpa)

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