Marco Ferrando: «Dal punto di vista mediatico, in Russia e Ucraina due propagande l’un contro l’altro armate»

L'analisi del fondatore del Partito Comunista dei Lavoratori sul modo in cui è stata comunicata la guerra

14/04/2022 di Matteo Forte

Un punto di vista senz’altro fuori dal dualismo dei dibattiti a cui siamo abituati ad assistere sulla guerra in Ucraina è stato fornito da Marco Ferrando, fondatore del Partito Comunista dei Lavoratori che, riconoscendo il diritto dell’autodeterminazione del popolo ucraino, appare comunque critico nei confronti della NATO che invia le armi nel Paese per contrastare l’imperialismo russo. Il suo sguardo, inoltre, può essere molto particolare anche per definire il modo di comunicare la guerra, attraverso un’analisi storica e un esame del lavoro di diffusione delle notizie da parte dei rispettivi punti di vista, quello russo e quello ucraino.

Il punto di partenza è innanzitutto il discorso del 21 febbraio di Putin, in cui il presidente russo ha di fatto dichiarato di voler cancellare l’identità nazionale ucraina. È un discorso, secondo Ferrando, scandalosamente ignorato da parte dell’opinione pubblica: «Putin ha dichiarato che l’Ucraina è una invenzione dei bolscevichi e di Lenin. Putin si candida a cancellare questa eredità storica della rivoluzione d’ottobre. Non è una denazificazione, ma paradossalmente una decomunistizzazione dell’Ucraina». Ovviamente, la prospettiva è chiara: «Una nostra ipotetica mozione non si sarebbe rivolta al governo italiano, che è un governo imperialista. Si sarebbe rivolta innanzitutto ai lavoratori italiani, per chiedere loro di ribellarsi alle politiche di riarmo. Poi, si sarebbe rivolta ai lavoratori internazionali e ai lavoratori dei Paesi in guerra. Una mozione capace di parlare ai lavoratori russi per chiedere loro perché si stiano facendo tagliare la pensione da Putin per finanziare una guerra zarista contro i loro fratelli lavoratori ucraini. Ci rivolgeremmo, e questo è il punto, ai lavoratori ucraini per dire loro che li sosteniamo incondizionatamente contro la guerra di invasione di Putin e per avvisarli che tutti coloro che, dall’occidente stanno inviando armi, lo stanno facendo per tenerli legati, impiccati alla corda del debito. L’obiettivo sarebbe quello di unire lavoratori russi e ucraini contro la guerra e anche contro gli imperialismi, in nome di un principio di solidarietà internazionale».

Continuiamo con un tema caro a Giornalettismo: l’utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa per dare voce a un racconto. Inizierei con l’esempio di Elon Musk, un mito per una generazione digitale che tende a un capitalismo dei multipli. L’uomo forte che, in questo caso, aiuta il popolo ucraino con internet, garantendo l’utilizzo della rete anche sotto ai bombardamenti. Secondo lei, è un’operazione di propaganda? Un po’ come D’Annunzio che lanciava i volantini su Vienna? 

«Tutti i gruppi che usano internet e che sono multimediali sono impegnati nella propria autopromozione – risponde Ferrando -. Nessun mercato è così potente come quello della propaganda di guerra. Non si ragiona in base a principi morali, ma in base ai propri interessi, in concorrenza gli uni con gli altri: Elon Musk ha lavorato in questa direzione. Dopodiché sulla guerra stanno lavorando anche altre parti in causa, tra i giganti del Big Tech».

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L’analisi di Marco Ferrando sulla propaganda mediatica in guerra

La propaganda di guerra, oggi, viaggia proprio su internet. Zelensky per lei è un influencer?

«Il governo di Zelensky è un governo molto impegnato nella costruzione della sua propaganda, che è nazionalista e che molto spesso sfocia in russofobia, nella presentazione dello stereotipo russo come nemico in quanto tale del popolo ucraino. Avendo oggi Zelensky un’ampia egemonia sull’opinione pubblica e avendo la guerra di Putin aumentato la sua base di consenso, con una indubbia capacità di influencer, il suo bacino è cresciuto a dismisura. Ma questo consenso potrebbe ostacolare anziché favorire un rapporto di possibile solidarietà al di là delle frontiere tra i lavoratori ucraini e i lavoratori russi. Anche Putin, del resto, impegnato in una guerra imperiale neo-zarista, il 21 febbraio ha creato lo stereotipo dell’Ucraina nazista, come se tutto il Paese fosse il battaglione Azov. Anche lui ha favorito una rappresentazione del popolo ucraino come popolo da assoggettare e a cui negare ogni forma di identità. Anche lui, su questa rappresentazione, ha ottenuto un consenso interno importante e in crescita. Le due propagande nazionaliste sono l’una contro l’altro armate alla ricerca del proprio bacino di consenso, con la differenza che da una parte c’è un nazionalismo reazionario di un Paese che è aggredito, dall’altro c’è un nazionalismo sempre reazionario di un Paese che è invasore. Questo aspetto sembra piuttosto chiaro».

Al di là del discorso sulla propaganda, è giusto fissare con lei un punto: è giusto dare armi all’Ucraina?

«È giusto dare armi all’Ucraina nella misura in cui loro hanno diritto di usarle per esercitare la propria autodifesa. Dopodiché non si deve tacere il fatto che gli imperialismi della NATO diano le armi all’Ucraina non per beneficienza, né per i diritti della democrazia. Lo fanno nel loro interesse: cercano di mantenere un controllo sull’Ucraina e cercano di impedire che questo Paese, nel loro interesse, venga assorbito dall’imperialismo russo. Per questo motivo saremmo stati contrari, se fossimo stati in Parlamento, a un decreto Ucraina. In tutto questo quadro, non sosteniamo l’invio delle armi, non facciamo campagna per l’invio delle armi: l’invio delle armi è inseparabile dalla finalità politica. Detto questo, siccome riconosciamo l’elementare diritto di resistenza del popolo ucraino a fronte di una guerra di invasione, diciamo che il popolo ucraino ha il diritto di utilizzare le armi difensive di cui dispone. Sono armi che hanno contrastato l’ingresso dei carri armati russi nelle città e che hanno permesso di difendersi dai bombardamenti».

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