Il legame fatale tra i brand e l’algoritmo dei social

Due facce della stessa medaglia. Due casi studio che dimostrano come affidarsi solamente ai social sia una pura follia commerciale. Da una parte FitVia, dall'altra Lush

06/03/2023 di Enzo Boldi

La pubblicità è l’anima del commercio. Un vecchio adagio che è sempre valido, oggi ancor più di ieri. Fino a qualche anno fa, quando si percorreva l’ultimo miglio del secondo millennio, bastava un’immagine iconica e uno slogan originale. Magari accompagnato da un motivetto musicale in grado di entrare nella testa delle persone (potenziali acquirenti) ed essere riconoscibile ovunque. Storie come quella di Carosello o di quelle campagne che hanno sviluppato delle vere e proprie saghe pubblicitarie. Per fare alcuni esempi: Telecom con “Una telefonata ti allunga la vita”, Crodino con il Gorilla e il barista Dino, oppure – travalicando i confini dell’Italia – gli spot Nike (“The Cage”, la gabbia) o Adidas con “Impossible is nothing”. Una viralità ante litteram, basata su una narrazione seriale che faceva avvicinare il potenziale cliente al marchio di turno. I social, però, hanno cambiato tutto mostrandoci casi – come quello di Fitvia – i brand si sono affidati esclusivamente alle piattaforme e al sistema degli influencer martketing. Con esiti, a volte, disastrosi. Diversa, invece, la dinamica che ha portato l’azienda britannica Lush ad abbandonare i social network. O, almeno, quelli gestiti da Meta.

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Le ultime due aziende citate hanno storie molto differenti, ma sempre riferite alle dinamiche social. Una delle due, infatti, ha scelto di “demandare” completamente agli equilibri della rete social le proprie sorti. L’altra, invece, ha deciso di porre un freno e dire non all’algoritmo che, oltre a veicolare i messaggi e le strategie comunicative, non è riuscito a impedire la creazione di un ecosistema a tratti tossico.

Il caso Fitvia

Otto anni di attività, la maggior parte dei quali trascorsi nella ricerca di campagne basate su accordi commerciali con vip e influencer per sponsorizzare i propri prodotti dimagranti (thé, perlopiù). Con tanto di polemiche e denunce da parte di associazione di consumatori. Sia contro l’azienda, sia contro i volti noti che pubblicizzavano attraverso post e stories Instagram dedicate questi prodotti, Poi, nel novembre scorso – con non poca sorpresa – l’annuncio della chiusura del sito (l’e-commerce) e di tutta l’attività. Il tutto con una spiegazione piuttosto scarna comunicata – ovviamente – sempre tramite Instagram:

«Inspirare – espirare. Ora dobbiamo essere tutti molto forti. Dopo 8 anni meravigliosi, piacevoli, sani e soprattutto deliziosi, Fitvia dice „Good bye & Auf Wiedersehen“. Alla fine dell’anno, è con grande dispiacere che chiudiamo il nostro negozio online e cessiamo l’attività. Con questo video vorremmo liberarci di diverse cose, ma la più importante è all’inizio: GRAZIE per questi meravigliosi 8 anni, che non sarebbero stati possibili senza la nostra comunità».

Nessuna motivazione ufficiale, solo l’annuncio della fine dopo otto anni di attività e di pubblicità basata sul potere dei social, degli influencer e nel “rispetto” delle fluttuazioni dell’algoritmo. Ovviamente, tutto ciò ha un costo: gli accordi commerciali di questo tipo, affidando la propria comunicazione (anch’essa) commerciale a personalità di rilievo nel mondo della tv attraverso i social (sfruttando l’alto numero dei follower) ha un prezzo non indifferente. Dunque, è sempre difficile tenere in equilibrio le spese pubblicitarie e gli introiti derivanti dalle vendite.

Lush e i brand che decidono di abbandonare i social network

L’altra faccia della medaglia è rappresentata da Lush. Il brand britannico di cosmetica, infatti, nel 2021 decise di percorrere una strada epocale: non utilizzare più quattro tra le principali piattaforme social come vetrina per i propri prodotti. Nel caso specifico, parliamo di Facebook, Snapchat, TikTok e Instagram. Provando oggi ad accedere proprio alla pagina Instagram di Lush, ecco cosa appare.

Nove immagini. Nove quadranti che formano la scritta “Be somewhere else“. Essere altrove, dove l’altrove è il mondo reale al di fuori dei social. Lush ha deciso di dire addio a quelle piattaforme che venivano utilizzate dalla stessa azienda come vetrina per i suoi prodotti. Esattamente come accade per migliaia di altre realtà che, invece, continuano a subire le fluttuazioni degli algoritmi per rimanere a galla. Ma da parte dell’amministratore delegato dell’azienda britannica, che ha deciso di diventare anti-social nel giorno del black friday del 2021, non c’è stato alcun ripensamento. All’intero delle pagine social (che sono rimaste attive, ma ferme) è presente un link che riporta a una pagina del sito ufficiale con le spiegazioni di questa decisione:

«Come inventore di bombe da bagno, tutti i miei sforzi sono dedicati a creare prodotti capaci di aiutare le persone a disconnettersi, rilassarsi e prendersi cura del proprio benessere. Le piattaforme social sono diventate l’antitesi di quello che vogliamo offrire, con algoritmi studiati per tenere le persone davanti allo schermo ed impedirgli di disconnettersi e rilassarsi […] Ho trascorso tutta la vita a evitare di utilizzare ingredienti dannosi nei miei prodotti. Ci sono oggi prove schiaccianti che evidenziano quanto siamo a rischio quando utilizziamo i social media. Non ho intenzione di esporre i miei clienti a questo rischio, per cui è il momento di uscire dal giro».

Eppure Lush continua a essere un brand riconoscibile e riconosciuto (anche per la sua filosofia), pur non godendo più del “trampolino” dei social. Di quella vetrina che ha spinto migliaia di influencer (nano, micro, macro e celebrities) a modificare il proprio modo di comunicare (anche commercialmente) cedendo alle fluttuazioni dell’algoritmo. Per sopravvivere. Ma i brand, quelli che puntano sul prodotto e sull’idea, possono vivere anche senza i social.

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