Linkedin sta bloccando i profili di giornalisti e personaggi non graditi al governo cinese

Una mail ha annunciato il blocco dei contenuti che, mentre risultano visibili nel resto del mondo, in Cina vengono oscurati

30/09/2021 di Gianmichele Laino

«Stamattina mi sono svegliata per scoprire che LinkedIn aveva bloccato il mio profilo in Cina. Prima dovevo aspettare i censori del governo cinese o i censori impiegati dalle aziende cinesi in Cina, per vedere questo genere di cose. Ora una società statunitense sta pagando i propri dipendenti per censurare gli americani». È la testimonianza, rilasciata su Twitter, da Bethany Allen-Ebrahimian, una giornalista statunitense che si è vista recapitrare direttamente da LinkedIn una mail che la informava del provvedimento a suo carico per quanto riguarda il territorio cinese. La sua colpa, evidentemente, è stata quella di essere critica nei confronti delle autorità di Pechino e del partito comunista cinese. Strano il comportamento di LinkedIn che – come nella migliore tradizione geopolitica – decide da che parte stare. E, in questo caso, sembra voler trovare una sponda in Cina.

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Linkedin blocca giornalisti critici con il regime comunista cinese

Nella mail pubblicata, si può agevolmente concentrare la propria attenzione su un passaggio molto preciso: «Se da un lato sosteniamo fortemente la libertà di espressione, abbiamo riconosciuto che, quando abbiamo lanciato il social network in questo Paese, avremmo dovuto aderire ai requisiti richiesti dal governo cinese per operare in Cina». Tra questi requisiti, evidentemete, c’è anche il blocco alle persone che pubblicano contenuti di critica. Ecco come la libertà d’espressione e il mondo del business si trovano di fronte a un bivio inconciliabile e mostra come ci sia incomunicabilità tra due sistemi: quello delle grandi aziende americane e dei loro standard e quello delle aziende (anche americane) che vanno a operare in Cina. La nuova sfida geopolitica passa anche attraverso le piattaforme di social networking.

Contenuti sul massacro degli uiguri, critiche generalizzate alle autorità cinesi nella gestione dell’emergenza covid, altre opinioni legate alle visioni occidentali su quello che sta succedendo nel Dragone rosso vengono così esclusi dalla visualizzazione di Linkedin con geolocalizzazione in Cina. Sono notizie, non offese, diffamazioni e linguaggio offensivo: eppure Linkedin, di proprietà di Microsoft, sembra aver abdicato a un principio cardine della democrazia occidentale pur di fare affari con loro.

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