Perché è tecnicamente complesso vietare l’accesso alle piattaforme per adulti in base all’età
I sistemi di age verification hanno sempre avuto problemi: non è un caso che le piattaforme digitali
10/02/2023 di Redazione Giornalettismo
Age verification, ennesimo capitolo. Di fatto, il tema si può declinare in qualsiasi modo e attraverso qualsiasi argomentazione, ma il risultato sarà sempre lo stesso. Oggi, ne parliamo a proposito delle piattaforme per adulti e a proposito dei limiti d’accesso a queste ultime per i minori. Come abbiamo avuto modo di vedere, la Francia è decisa a impedire ai minorenni l’accesso ai siti porno. Le proposte in campo sono due: quella di strutturare una apposita applicazione per costruire una sorta di passaporto digitale da unire a ogni accesso a una piattaforma per adulti (nello stesso modo in cui si uniscono gli strumenti di pagamento digitali delle banche, ogni volta che si fa un acquisto su un e-commerce) o quella di accedere alla piattaforma soltanto attraverso la scansione di una carta d’identità che certifichi la maggiore età dell’utente.
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Limite d’età piattaforme, l’ennesimo caso in cui vengono tirati in ballo i principi della “carta d’identità”
Anche in Italia, la proposta francese è stata accolta con ottimismo e ha rappresentato sicuramente uno spunto su cui effettuare ulteriori riflessioni. In modo particolare, in un ultimo intervento pubblico del membro del collegio del Garante della Privacy, Guido Scorza, è stata esposta l’ambizione di estendere un sistema di verifica dell’età solido a tutte le piattaforme di Big Tech (comprese i social network, dunque), per evitare che ci possano essere, in qualche modo, delle violazioni delle policies delle piattaforme stesse. Quando si parla di social network, in particolare, si assiste sempre a un grande dilemma: piattaforme consapevoli del fatto che, al di sotto di una certa età, il loro utilizzo possa essere pericoloso e, allo stesso tempo, l’incapacità di assicurare che, al di sotto di una certa età, queste stesse piattaforme possano essere utilizzate (è troppo semplice, per l’utente, mentire sulla propria anagrafica, senza alcuna possibilità di controllo).
Il tema si amplifica chiaramente quando si parla di piattaforme per adulti, con contenuti sessualmente sensibili. La Francia sembra essere lanciata verso la decisione di condizionare l’accesso a queste ultime attraverso due soluzioni, sintetizzate a inizio articolo, che però presuppongono delle debolezze intrinseche che non possono non essere considerate.
L’accesso a una determinata tipologia di materiale attraverso un’app separata (esattamente come avviene per i pagamenti su piattaforme di e-commerce) potrebbe indurre l’utente ad accedere a quello stesso tipo di materiale attraverso altre piattaforme che, banalmente, ce l’hanno a disposizione di default. Si pensi ai social network: quanti sono quelli che consentono a video o foto hot di essere tranquillamente pubblicate? Twitter, ad esempio, rappresenta una fonte importante da questo punto di vista, ma anche altre piattaforme meno conosciute consentono la condivisione di questa tipologia di contenuto multimediale. Non contiamo nemmeno, poi, le app di messaggistica: Telegram, WhatsApp, Signal sono costantemente caratterizzate dalla condivisione di questo materiale. E – dal momento che è impossibile individuare un sistema d’accesso ai social o alle app di messaggistica sulla base dell’età – ecco che, per i minori, il potenziale accesso a materiali pornografici sarà sempre a disposizione.
Pensiamo, poi, alla distribuzione territoriale di determinati divieti. Se la norma per regolamentare l’accesso alle piattaforme per adulti viene studiata in Francia, sarà verosimile immaginare che – in altri Paesi del mondo – non sussisterà la stessa precauzione. Oggi, i sistemi di VPN – che permettono di “nascondere” la propria geolocalizzazione per la connessione, simulando una navigazione a partire da un’altra area del mondo rispetto a quella in cui avviene effettivamente la navigazione – sono facilmente accessibili a una varietà incredibile di utenti. E sono anche economicamente alla portata (in alcuni casi, i periodi di prova gratuiti non fanno altro che incentivare il loro impiego), oltre che concorrenziali.
Ancora la questione dei documenti di identità?
Infine, la questione dei documenti di identità. Anche in Italia, più volte, si è pensato di associare l’accesso ai social network all’esibizione di una carta d’identità o all’autenticazione attraverso lo SPID. Oltre a essere un principio che va contro qualsiasi tipo di assunto di base che riguarda l’esistenza stessa di internet, l’estensione di una regola di questo tipo provocherebbe non pochi problemi dal punto di vista della privacy, per la grande mole di dati che metterebbe in circolazione e per l’altrettanto elevata probabilità di contraffazione dei dati stessi. Il caricamento di una carta d’identità di un utente inconsapevole, infatti, sarebbe fortemente incentivato, così come l’utilizzo di documenti altrui che – attualmente – sono nelle disponibilità di chiunque navighi sul web (la cultura del dato, in Italia così come in altri Paesi europei, è ancora a un livello molto basso e database di carte d’identità o di patenti circolano ampiamente in rete, non è necessario frequentare il dark web).
Insomma, la situazione non è così semplice e non si può chiudere esclusivamente con un intervento normativo. Ancora una volta, anzi, si ha la sensazione che la tecnologia proceda a un passo più spedito rispetto alle intenzioni del legislatore. E questo è il problema più grave che sta caratterizzando lo sviluppo delle Big Tech a discapito dei cittadini.