Tutte le proposte politiche sull’accesso dei giovani ai social network con un documento d’identità

Ricordiamo la proposta di Marattin, ma anche quelle di Calenda. Il tema è sempre quello di voler applicare degli standard "istituzionali" a piattaforme private e che funzionano secondo propri criteri

23/01/2023 di Redazione Giornalettismo

Quando si parla di possibili iniziative che riguardano lo sbarramento per l’accesso ai social network, non possono non venire in mente delle proposte che, in passato, erano state avanzate dalle nostre istituzioni e che, anzi, ogni tanto vengono tirate ciclicamente fuori dal cilindro. In alcuni casi, queste iniziative vengono raccontate senza un opportuno bagaglio tecnico di supporto, che possa in qualche modo giustificarle e renderle operative. A volte, però, non sono organi istituzionali, ma sono gli stessi proprietari dei social network – si veda, ad esempio, il caso di Elon Musk – a lanciare delle proposte provocatorie. Il tutto sempre con l’obiettivo di rendere riconoscibili gli utenti delle piattaforme, in modo tale da responsabilizzarli su problematiche come le offese online, la diffusione di false informazioni, il revenge porn e altre tipologie di deviazioni legate all’uso degli strumenti digitali.

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Proposte d’accesso ai social con documenti d’identità o Spid, perché non hanno mai funzionato

In passato, l’esponente di Italia Viva Luigi Marattin si era reso protagonista di una proposta che aveva immediatamente scatenato delle discussioni. Nel 2019, quando la pandemia di coronavirus poteva essere concepibile soltanto nei libri di fantascienza, l’allora deputato di Italia Viva aveva analizzato con attenzione una puntata di Report, all’interno della quale venivano mostrati i meccanismi di diffusione di propaganda di estrema destra proprio attraverso i social network, e si era messo – secondo quanto dichiarato in un tweet – «al lavoro per una legge che obblighi chiunque apra un profilo social a farlo con un valido documento di identità».

L’onda lunga delle polemiche suggerì un supplemento di riflessione sul tema, perché le piattaforme di social networking hanno da sempre fatto dei dati personali il loro core business. Il trattamento di questi dati personali ha rappresentato – e continua a rappresentare – una battaglia di civiltà: dare ulteriori elementi a soggetti Big Tech per aumentare le loro banche dati sugli utenti non è di certo una buona soluzione, soprattutto in virtù dei regolamenti europei sulla protezione dei dati personali che sono stati recepiti nei vari Stati membri dell’Unione.

Pisano, Calenda, lo Spid e la lotta ai bot di Elon Musk (oltre la politica)

Dopo la pandemia e dopo aver visto moltiplicati i dati di utilizzo delle piattaforme social, è stata la volta di Carlo Calenda. Il leader di Azione, alla fine del 2022, aveva lanciato l’idea di consentire l’apertura di un account soltanto attraverso l’identità verificata. Prima di lui, nel 2021, l’istanza era arrivata addirittura sul tavolo del Garante della Privacy: in seguito a fatti di cronaca nera che avevano coinvolto minori che si erano spinti decisamente in là con l’utilizzo di TikTok, l’allora ministra per l’Innovazione Digitale Paola Pisano aveva pensato all’apertura di un account sui social network soltanto previo utilizzo dello Spid. Un tema che è stato successivamente messo da parte: l’autorità, infatti, ha autorizzato l’utilizzo dello Spid per i minori di 14 anni, ma soltanto per i servizi della pubblica amministrazione. Nulla a che vedere, insomma, con l’impiego dello strumento per piattaforme private.

Anche perché, appunto, essendo i social network di proprietà di multinazionali, è difficile individuare una regolamentazione che possa essere un unicum nel panorama internazionale. Il tentativo di eliminare i bot o le identità fasulle risulta difficile persino per gli stessi proprietari dei social network (per i quali la proliferazione di account fake rappresenta un grave problema di awareness). Elon Musk, che su questo aveva fondato la sua battaglia preliminare all’acquisto di Twitter, si è trovato in forte difficoltà quando ha lanciato – in fase di test – il sistema dei pagamenti per ottenere una identità verificata per gli utenti. Il sistema, infatti, era facilmente aggirabile, come qualsiasi regola o privacy policy che coinvolge, in questo preciso momento storico, le piattaforme come Facebook, Instagram, TikTok e la stessa Twitter.

Ecco perché la consapevolezza degli utenti continua a essere l’unico schema difensivo per riuscire a utilizzare i social network nella maniera migliore possibile (che significa con il minor danno). E allora il “patentino social” proposto nell’ambito delle ultime elezioni regionali in Lombardia non deve, per forza di cose, essere concepito come uno strumento coercitivo. Ma soltanto come uno strumento (uno in più) a livello educativo.

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