Misurare la Rai, ce la faremo?

La questione dei KPI che si legge solo in trasparenza nel nuovo contratto di servizio in discussione in questi giorni

08/11/2023 di Giacomo Aschacher

Tra i compiti del servizio pubblico inteso come servizio di trasmissione e diffusione di programmi radiotelevisivi e multimediali non c’è solo il dover rispondere a principi quali l’imparzialità, il pluralismo, la completezza dell’informazione o il rispetto delle diversità ma anche la garanzia di «un accesso universale, facile ed efficiente, all’offerta del servizio pubblico su tutte le piattaforme». Così leggiamo nell’articolo 3 dello schema di contratto di servizio che verrà stipulato, si spera a breve, tra il Ministero delle imprese e del made in Italy e la RAI. Da molti mesi è in discussione nel nostro parlamento e coprirà il quinquennio compreso tra il 2023 – il precedente è infatti scaduto nel 2022 – e il 2028. 

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KPI Rai-contratto di servizio, come si misura una “media company” servizio pubblico?

Finché ragioniamo in termini di trasmissioni tv e radio, l’obiettivo è scontato: la RAI garantisce una copertura pressoché totale del territorio italiano. La trasformazione in digital media company allarga però l’orizzonte e impone al servizio pubblico di «sviluppare una strategia distributiva (…) in ottica multipiattaforma» e di conseguenza anche la diffusione dei contenuti attraverso internet assume una maggiore centralità. 

Raiplay, oltre agli altri portali web del servizio pubblico, diviene quindi ufficialmente una piattaforma nevralgica e alla stregua degli altri canali di trasmissione tradizionali.  

Distribuire contenuti attraverso il web è chiaramente differente rispetto alla trasmissione sulle frequenze del digitale terrestre, ma limiti e criticità sono assimilabili. Pensiamo alle carenze strutturali della rete internet del nostro paese, solo parzialmente migliorata con l’introduzione del 5G o con il piano di banda ultralarga che ha consentito a Open Fiber di migliorare la copertura della fibra ottica sul territorio italiano, nonostante nella maggior parte delle aree del nostro Paese la velocità media di navigazione è ancora molto bassa. 

I contributi della Rai e quel solito intoppo quando si parla di rendicontazione

Il governo nel corso degli anni ha predisposto diversi contributi per la RAI in aggiunta al canone televisivo, stanziati con lo scopo di supportare la piattaforma digitale e con essa il perseguimento anche dell’obiettivo di facilitarne l’accesso. Tra questi, due decreti del MiSE del 2019 e 2020.  

Attraverso lo stanziamento di due tranche da 40 milioni di euro, il Ministero dello Sviluppo Economico decise infatti di supportare la RAI non solo nel produrre contenuti esclusivi per il web (anche in lingua inglese) ma anche nello sviluppare la tecnologia digitale di offerta di Raiplay e di distribuzione multipiattaforma su reti internet fisse e mobili. 

Nei mesi successivi i decreti furono rivisti dall’allora ministro del MiSE, Giancarlo Giorgetti, in quanto si richiese alla RAI atti documentali chiari che dimostrassero l’assolvimento degli obblighi previsti dai decreti prima di un effettivo versamento dei contributi. Ne seguirono polemiche anche da parte dell’USIGRai, il sindacato dei giornalisti del servizio pubblico, che in un comunicato, dichiarò la richiesta una “farsa”. Avendo la RAI già messo a bilancio e speso questi soldi, secondo l’esecutivo USIGRai, fare un’eventuale marcia indietro in assenza di un progetto di spesa avrebbe significato imporre alla RAI una spesa aggiuntiva di 80 milioni di euro già sostenuta. D’altro canto, non si può pensare che un ente finanziatore (il MiSE in questo caso) non avesse il diritto di un rendiconto dettagliato delle spese soprattutto considerando l’entità di denaro pubblico impegnato.  

Ne seguirono dibattiti che continuarono negli anni successivi fino a confluire nel confronto tra RAI e governo, iniziato da più di un anno, sul nuovo contratto di servizio e in particolar modo sul tema dei KPI (acronimo di Key Performance Indicators) ovvero dei parametri definiti e quantificabili utili a misurare il raggiungimento degli obiettivi previsti, in questo caso, dal contratto. 

L’introduzione di un indicatore oggettivo come il KPI, utilizzato comunemente dalle aziende per determinare periodicamente il raggiungimento di obiettivi ad esempio di vendita, di marketing, di qualità del prodotto o di disponibilità dei sistemi informatici, può essere considerata una rivoluzione pensando alla quasi totale assenza di valutazioni oggettive e dettagliate sull’effettivo raggiungimento degli scopi del contratto di servizio fino a oggi. 

L’ultimo paragrafo della premessa dello schema di contratto di servizio che abbiamo avuto modo di leggere recita: «Assicurare una maggiore cogenza degli obblighi assunti nel contratto di servizio, in particolare attraverso l’introduzione di obiettivi misurabili nonché potenziando le modalità, gli strumenti e gli organi di verifica dell’attuazione dei suddetti obiettivi». 

Il concetto di “obiettivo misurabile” entra così ufficialmente nell’accordo tra le parti mettendo nero su bianco, finalmente, la possibilità di un riscontro oggettivo e inequivocabile rispetto a ciò che dovrebbero essere gli obblighi della RAI come organo di servizio pubblico. Nei successivi articoli però non viene più menzionato né vengono espressi ulteriori dettagli sulle modalità o gli organi che si dovranno occupare di verificarne il loro raggiungimento 

Dobbiamo quindi sperare che le tre righe dedicate al concetto di KPI non si trasformino in uno specchietto per le allodole che non porterà a nessun reale cambiamento. Lasciando un margine interpretativo così ampio e vago il rischio è molto alto. 

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