L’enorme semplificazione nel parlare di “democrazia dei click e degli influencer”

Abbiamo ragionato insieme all'attivista Lorenzo Mineo dell'Associazione Coscioni sulle opportunità fornite dalla piattaforma di Stato per i referendum digitali e sull'attivismo social

16/11/2022 di Ilaria Roncone

Del fatto che la piattaforma di Stato per i referendum digitali sia online abbiamo dato notizia – sottolineando come, nonostante si tratti di un grandissimo progresso nell’esercizio del diritto al voto delle singole persone, non se ne stia parlando abbastanza -. In una serie di approfondimenti che abbiamo realizzato sul tema abbiamo parlato dei referendum digitali online e di attivismo social e, in particolare – come è accaduto in passato – da influencer in grado di raggiungere moltissime persone (il caso più celebre, l’impegno di Chiara Ferragni e Fedez nella condivisione del link per firmare sull’eutanasia legale). In questo caso è intervenuto Lorenzo Mineo, attivista – tra le altre cose – su temi relativi alle libertà civili.

«Questa piattaforma – sottolinea Mineo – permette di fare campagne gratuite in cui non c’è costo per il comitato promotore». Il punto, quindi, è  che sarà possibile proporre campagne referendarie e di iniziativa popolare invitando le persone a firmare gratuitamente, il che «favorisce un tipo di attivismo molto più focalizzato sui temi che non sullo scontro tra le parti. Un modo di fare politica che, credo, sia quello del futuro in cui – quindi – anche tramite i social sarà più facile arrivare alle persone focalizzandosi sui temi».

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«Parlare di democrazia dei click e degli influencer è una semplificazione enorme»

«Io credo che si parli sempre del concetto di influencer ma è chiaro che il punto di partenza è il tema: non basta un influencer a far sfondare un tema o una campagna politica e lo abbiamo visto, nel 2021, con le raccolte firma eutanasia e cannabis. Sono temi che riguardano il vissuto delle persone e non è stato per gli influencer che sono stati raggiunti quei numeri – due milioni di firme raccolte – seppure ci siano state adesioni significative: Ornella Muti su cannabis, J-AX e altri».

«Io credo che il coinvolgimento degli influencer e la spinta che possono dare nella raccolta firme sia innegabile e non credo sia criticabile. È il vuoto della politica, la mancanza di fiducia dei cittadini nei confronti della classe politica che fa sì che si cerchino altri riferimenti. Parlare di democrazia del click e degli influencer è una semplificazione molto grande, lo abbiamo visto anche su alcuni referendum del 2021: alcuni hanno raggiunto la soglia, nel 2021, anche senza questa forte spinta degli influencer; altri, come quelli sul Green pass, non l’hanno fatto. Dipende molto dal tema».

«In generale, quindi, credo ci sia una grande semplificazione quando si parla di democrazia in mano agli influencer. C’è dietro una grossa organizzazione nell’individuare le battaglie giuste, le leggi che possono essere messe a referendum, nel costruire una campagna di comunicazione dietro, nel convincere le persone a firmare anche per strada. La mole di azioni da fare è talmente grande che ridurre tutto alla democrazia del click, decisa dagli influencer, è una enorme semplificazione che purtroppo è passata mediaticamente ma che non basta a spiegare il successo di un referendum digitale come quelli che abbiamo visto».

A prescindere dagli influencer, quindi, che rimangono comunque una forma accessoria di diffusione del referendum. Il punto centrale e focale rimane il tema. «È comprensibile che ci si rivolga anche ad altre figure ma non è quello che fa la differenza quando un cittadino firma una causa», conclude Mineo.

«Attivismo social sempre più ibrido con l’attivista che è quello della porta accanto»

«Credo che dobbiamo immaginare un attivismo che sarà sempre di più ibrido: da un lato c’è il social, il digitale, dall’altra il digitale può essere usato per strada. Attraverso la raccolta firme ai tavoli, fermando le persone. Non bisogna pensare che l’attivismo social vada a cancellare la parte offline, quella che viene fatta socializzando ovunque con le persone. Io credo che attivista potrà essere chiunque, chiunque creda in una causa parlando e facendo vedere dal suo smartphone un referendum potrà spingere gli altri a firmare. L’identikit dell’attivista social, quindi, potrebbe essere proprio quello della porta accanto: tutti, attraverso il digitale e anche a un pranzo di Natale, potranno incentivare gli altri a firmare».

Relativamente allo specifico intervento di Fedez e Ferragni quando si è trattato di eutanasia, Mineo ha le idee chiare: «Io credo che la condivisione di influencer del calibro di Ferragni e Fedez porti dei vantaggi che, di per sé, non sono sufficienti a raggiungere un obiettivo come raggiungere la quota firme per un referendum. Possono dare una spinta, questo sì, permettendo a quante più persone di conoscere e di valutare una questione. Credo che pensare che basti un tweet di Fedez per convincere le persone a firmare sia un atto di sfiducia nei loro confronti».

In altre parole, quel contenuto permette di informarsi e di venire a conoscenza della vicenda ma non porta a firmare: «Alla fine è la persona che sceglie. C’è sicuramente un valore positivo che è la conoscenza alla portata di persone che, magari, solitamente non sono così interessate alla politica. Proprio il fatto di non fare attivismo in maniera continuativa, quindi, dà alla possibilità a un pubblico sfiduciato di arrivare a dei contenuti politici proprio perché segue loro».

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