È l’International Fact Checking Day, ma non mi sento tanto bene

Stiamo affrontando un anno difficilissimo per l'informazione. Eppure non utilizziamo tutti gli strumenti a nostra disposizione

02/04/2021 di Gianmichele Laino

Come stiamo nel giorno dell’International Fact Checking Day? Vorremmo dire meglio, ma in realtà non ci sentiamo tanto bene. E ci sono diversi motivi per cui questa giornata – che è stata istituita proprio per ricordare il lavoro dei debunker e per fornire agli utenti di internet gli strumenti giusti per combattere la disinformazione – non può essere considerata una festa. L’autocelebrazione non regge, non al termine di questo terribile anno pandemico, che ha avuto – tra i suoi effetti collaterali – anche un disordine informativo frenetico e dannoso. Che ha contribuito, in qualche modo, a renderci la vita ancor più difficile di quanto già non fosse.

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International Fact Checking Day, lo stato dell’arte

Lo abbiamo sperimentato in redazione, in questi ultimi dodici mesi. Il fact-checking è sempre stato un pallino di Giornalettismo, abbiamo provato a inserirci tra le varie voci che – online – miravano e mirano a fare ordine in mezzo al marasma della cattiva informazione. Nel corso della pandemia di coronavirus abbiamo faticato a tenere insieme le redini.

È stato un anno difficile per tutti: nel corso di questa giornata, abbiamo sentito le testimonianze di Claudio Michelizza, fondatore del progetto Bufale.net, e di Michelangelo Coltelli, responsabile di Butac: realtà che si battono quotidianamente per migliorare l’esperienza informativa dell’utente della rete. Ma queste due conversazioni telefoniche – la distanza, ormai, contraddistingue anche l’esperienza giornalistica (e la rende più difficile, ma qui dovremmo aprire una sezione a parte) – ci hanno costretto a riflettere su quanto, nella sventura, invece di mettere insieme le nostre forze, siamo bravi a creare ulteriori divisioni.

Perché, giornalisti, ce la prendiamo con i debunker?

È come se si fosse creato, in questo periodo, una sorta di inspiegabile frattura tra il mondo del giornalismo e quello del fact-checking in generale. Con il primo che, incredibilmente, non riesce ad accettare il lavoro dei debunker. Non lo fa, magari, in nome di una sorta di rendita di posizione, di pregiudizio, di separazione dal mondo della realtà. E invece, oggi in particolare, i progetti di debunking e di fact-checking dovrebbero essere uno strumento riconosciuto da chi fa informazione per professione.

Perché la sensazione è quella di trovarsi in un mondo su cui si sta abbattendo una valanga ingestibile, mentre ci accapigliamo per scegliere il posto in cui farci travolgere. L’International Fact Checking Day, dunque, riparta dal concreto, dal mettere insieme forze e strumenti, dal creare una rete di informazione positiva che possa coinvolgere anche quelle scuole che – ad esempio – nell’ultimo anno si sono mostrate molto più sensibili al tema del fact-checking e dell’informazione pedagogica per i propri studenti.

Ecco perché non ci sentiamo tanto bene oggi, ma speriamo – in fondo – che domani possa andare un po’ meglio.

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