Gli influencer affascinati dalla tv, ma la tv è affascinata dagli influencer: ne va di mezzo l’informazione

La qualità dell'informazione e il conseguente crollo dei telespettatori per i telegiornali subiscono proprio questa sorta di contraddizione

19/01/2024 di Gianmichele Laino

Il mondo dell’informazione sta vivendo una contraddizione insanabile. Da una parte, infatti, c’è una fortissima attrazione dei media tradizionali – televisione e giornali – nei confronti di tutto ciò che riguarda i social network e i loro meccanismi di funzionamento (sia dal punto di vista della visibilità sulle piattaforme, sia dal punto di vista della riproposizione dei contenuti che sulle piattaforme sono “virali”). Dall’altra parte, tuttavia, c’è una sorta di repulsione del grande pubblico nel fruire di una informazione tradizionale che, in nome dell’auditel, della copia venduta in più o delle visualizzazioni sul sito web, cerca sempre di rincorrere le piattaforme social. Tra l’altro, così facendo, abdicando al suo ruolo – riconosciuto anche dagli influencer e dai titolari di progetti digitali – di vero punto di riferimento comunicativo, anche ai tempi della comunicazione via social e dell’intelligenza artificiale.

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Informazione tv e social, la crisi del mondo dell’informazione

I dati dell’Agcom sull’informazione tradizionale sono impietosi. I telegiornali della sera, complessivamente e su tutte le emittenti televisive, sono in lenta e inesorabile caduta: il calo è prossimo al 10% rispetto al 2022 (stiamo parlando, complessivamente, di 14,7 milioni di telespettatori). I telegiornali dell’ora di pranzo, tradizionalmente meno seguiti dal pubblico televisivo, trattengono davanti allo schermo 12,3 milioni di telespettatori (anche qui il calo è del 10% rispetto all’anno precedente). Il crollo maggiore riguarda il Tg2 delle 20.30 (-11,4%) per quanto riguarda la Rai, il Tg4 delle 19 (-7,4%) relativamente alle reti Mediaset. Ma anche il Tg di La7 non se la passa benissimo, dal momento che – nel complesso – ha perso il 4,6% di spettatori. I canali all news – che avevano avuto un ruolo da protagonisti nel periodo della pandemia – sono sempre meno presi in considerazione (sia per quanto riguarda la Rai, sia per quanto riguarda Mediaset, sia per quanto riguarda Sky TG 24).

Continuano a scendere anche le copie vendute dai giornali nazionali e locali: -10% sulle copie cartacee, -1% rispetto alle copie digitali. Nessuna categoria si salva dal tracollo: sia le generaliste, sia le testate economiche, sia le testate sportive. La raccolta pubblicitaria delle principali testate e dei principali gruppi editoriali italiani è scesa del 6,3% e questo è un altro indicatore-spia di quanto possa essere profonda la crisi dell’informazione.

Le cause? I costi elevati dei quotidiani e degli abbonamenti non può essere sufficiente a spiegare questo declino generalizzato. Il canone Rai, in bolletta, viene pagato da tutti; le televisioni commerciali sono alla portata di tutti senza abbonamenti supplementari. Dunque, perché – se fosse soltanto il costo il problema – dovrebbero essere coinvolti anche i notiziari di informazione televisiva? Il problema, evidentemente, è più complesso: i social network forniscono le informazioni necessarie ai più; mentre la televisione (e anche i giornali) non riescono a contrastare questa tendenza proponendo contenuti sempre meno originali e innovativi. Rincorrono in questo i social, illudendosi che i meccanismi che portano un utente a condividere o a mettere like a un post siano gli stessi che inducono un telespettatore a premere il tasto del telecomando.

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