Che fine ha fatto l’impegno della Rai contro la disinformazione sanitaria?

Parliamo di impegni concreti e messi in atto non solo per evitare la disinformazione ma per fare sì che le persone imparino a riconoscerla

20/09/2023 di Ilaria Roncone

“Tenere d’occhio le scale, a loro piace cambiare”. Prendiamo in prestito questa citazione di Percy Weasley dal film Harry Potter e la Pietra Filosofale solo per sostituire la parola scale con la parola Rai. Televisione pubblica che, a partire proprio dai primi momenti di pandemia – quando ancora eravamo nel primo lockdown – ha garantito il suo impegno per contrastare la disinformazione Rai in ambito sanitario. Impegno che è stato rinnovato e che è proseguito fino alla scorsa primavera, prima delle nomine Rai volute dal nuovo governo e prima dell’inserimento in palinsesto del programma “Giù la maschera” su Rai Radio1 con l’ex presidente della Rai Marcello Foa alla conduzione. Conduzione che, come stiamo raccontando oggi, ha visto finire al centro di parecchie polemiche (comprese dure reazioni da parte della Rai e di chi ci lavora) la presenza del medico no vax Massimo Citro della Riva (la sua storia l’abbiamo ripercorsa nell’articolo di apertura del monografico).

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Disinformazione Rai in ambito sanitario, la task force attiva dalla pandemia

Disinformazione e fake news in ambito sanitario sono finite nel mirino della Rai già dall’inizio della pandemia, come dicevamo. A fine marzo 2020 l’allora amministratore delegato della Rai, Fabrizio Salini, comunicò l’avvio di una task force aziendale diretta dall’allora direttore di Rai News Antonio Di Bella contro le notizie false. «Partirà un osservatorio permanente in grado di raccontare a tutti cosa è una fake news e in grado di sminarla – spiegò Salini -. Oggi le fake news sono un veleno che rischia di minare l’informazione corretta e di minare la coesione sociale. La Rai sulla coesione e l’inclusione sociale ha un compito essenziale, noi oggi mettiamo in campo un ulteriore strumento in grado di unire il Paese e di dare dei segnali positivi».

L’esecutivo di Usigrai si era espresso in maniera favorevole all’idea, elogiando l’osservatorio permanente e insistendo su un concetto: «Speriamo che nessuno voglia frenare questa idea della Rai, paventando inesistenti rischi per l’autonomia per le testate, visto che si tratta di una iniziativa di coordinamento, e non certo di controllo, nell’interesse di tutti di smascherare bufale e assicurare una informazione corretta».

Gli impegni recenti del servizio pubblico contro la disinformazione

L’impegno è stato rinnovato anche di recente, la scorsa primavera, con la promessa di spot pubblicitari e campagna social mirate per sensibilizzare il pubblico rispetto all’importanza di saper distinguere le notizie false, incomplete o volutamente distorte. Lo scorso 2 aprile, in occasione della Giornata mondiale contro la disinformazione, ha cominciato ad essere mandato in onda uno spot che invita a «coltivare uno spirito critico, noi siamo al tuo fianco raccontando la verità dei fatti». Rai Kids ha realizzato una campagna social per i ragazzi (“Da non crederci”) nell’ambito delle attività del Comitato Fake News e Media Literacy Rai. Anche i giornalisti Rai – la loro formazione, nello specifico – sono entrati nel programma di lotta alla disinformazione dell’azienda, che prevede anche l’adozione di un team di verifica delle informazioni e fa parte di Idmo (Osservatorio nazionale per il contrasto alla disinformazione). Oltre a questo, ci sono programmi come Digital World (che tratta le nuove tecnologie) e le pillole “Uniti contro la disinformazione” disponibili su Rai Play.

Insomma, chi più ne ha più ne metta. Ha senso, in un contesto del genere e con tutti questi impegni presi, scivolare e farsi così tanto male per una scelta – quella di dare la parola e una persona sospesa dall’Ordine dei Medici già dal 2021 – che si sarebbe potuta evitare?

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