Pubblicare su TikTok i video di borseggiatori rappresenta un illecito in punta di GDPR?

Prendendo come riferimento il regolamento europeo per la privacy (ma anche la normativa italiana), si può capire come la tendenza, sempre più frequente, di pubblicare video di borseggiatori e borseggiatrici può configurare un reato

21/07/2023 di Gianmichele Laino

Sporadicamente, anche negli anni passati, comparivano sui social network – non solo , ma anche Facebook o Instagram – dei video in cui comparivano persone sorprese a commettere illeciti. Borseggiatori, cittadini che commettevano infrazioni al codice della strada, persone che si rendevano responsabili di risse o di schiamazzi. Secondo gli autori dei video e delle pubblicazioni via social, si trattava del modo migliore per denunciare questi fatti, in assenza – magari – di un intervento efficace delle forze dell’ordine. Una sorta di legge del taglione 2.0: occhio per occhio, dente per dente. Tu sottrai un portafoglio, io ti scateno contro la gogna mediatica. Questa tendenza, nelle ultime settimane, è tornata in auge a causa di un collettivo denominato Associazione-Comitato #CittadiniNonDistratti che, a valle di un lavoro di denuncia sulla città di Venezia fatto da diversi anni, è arrivata a utilizzare i social network per questo tipo di denunce. Attirando l’attenzione degli utenti e rendendo praticamente virali le frasi impiegate per questo scopo. Ma potrebbe essere illecito pubblicare video di borseggiatori, secondo quanto dice la legge.

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Illecito pubblicare video di borseggiatori, cosa dice la legge

Partiamo da un concetto fondamentale. Fare un video in un luogo pubblico, anche se si tratta di persone perfettamente identificabili, è sempre lecito. Il problema si presenta nel momento in cui si fa un utilizzo diverso da quello privato del video stesso. L’azione della pubblicazione di quel contenuto, infatti, per non essere perseguibile deve contenere due elementi fondamentali: la non riconoscibilità del volto terzo della persona presente all’interno del video oppure il consenso della stessa persona ritratta a comparire in quelle immagini.

In assenza di uno di questi due elementi, si viola apertamente il GDPR, il regolamento europeo sulla privacy. Tenendo ben presente che il video di una persona costituisce un dato personale sensibile, ecco che si può applicare la fattispecie dell’articolo 6: il trattamento del dato personale sensibile è lecito soltanto se l’interessato ha esplicitato il suo consenso per specifiche funzionalità, se è legato all’esecuzione di un contratto, se l’interessato deve adempiere a un obbligo legale, se il trattamento è necessario per salvaguardare la sua incolumità, se il trattamento è necessario per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di terzi. In realtà l’articolo 6 prevede anche un’altra circostanza, quella relativa all’esecuzione di un compito di interesse pubblico, di cui però deve essere investito il titolare del trattamento.

Insomma, il fatto che pubblicando un video su TikTok – o su qualsiasi altro tipo di social network – si possa aiutare qualcuno a recuperare la sua refurtiva o anche solo a identificare l’autore di un presunto furto potrebbe non bastare a giustificare il pubblico interesse, se non sussistono le condizioni della irriconoscibilità e del consenso dell’interessato. È lo stesso principio – ovviamente usiamo appositamente una esagerazione – per cui non era lecito pubblicare la cartella clinica di Matteo Messina Denaro, dopo il suo arresto.

La giurisprudenza, in questo caso, dovrà valutare caso per caso le situazioni. Come si fa a etichettare come “borseggiatore” o “borseggiatrice” una persona che, all’interno del video pubblicato, non esegue l’azione illecita? Su quale base? Per questo motivo, i mezzi utilizzati a Venezia possono essere border line, in punta di GDPR.

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