La femminista somala vittima di segnalazioni di massa su Facebook che rischia di essere silenziata

La storia dell'attivista somala segnalata in massa da chi la odia per il suo lavoro di assistenza alle donne e di cui Facebook si occupa in maniera blanda

08/09/2021 di Ilaria Roncone

Si chiama Hanna Paranta ed è vittima, secondo quanto racconta e secondo le prove che ha fornito, di squadrismo social da parte di hater donne adescate appositamente da uomini somali per segnalare in massa lei e altre attiviste africane. Il tutto viene fatto sfruttando il sistema di segnalazioni di Facebook. Paranta – Hanna Abubakar sui social -, vive nel Regno Unito e nella vita aiuta le sopravvissute a violenze domestiche e stupri tramite la sua pagina Facebook e il suo lavoro come assistente sociale e attivista.

«Non ti abbiamo ucciso in Somalia e ora hai la libertà nel Regno Unito, ma ti metteremo a tacere su Facebook» è un avvertimento che ha ricevuto dopo un viaggio in Somalia nel settembre 2020, quando qualcuno ha cercato di avvelenare il suo cibo in un hotel a Mogadiscio. Non essendo riusciti a farle del male nella vita reale gli uomini che prendono di mira lei e altre attiviste somale per i diritti delle donne hanno deciso di agire online, sfruttando Facebook e quella pagina che conta più di 130 mila seguaci che ora sembrerebbe essere sotto ban.

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Hanna Paranta vittima di squadrismo social

La tecnica dello squadrismo social viene utilizzata sempre più spesso dagli hater e da chi vuole silenziare alcune voci sfruttando gli algoritmi che gestiscono le segnalazioni sulle piattaforme. Dietro questo gesto ci sarebbero donne adescate da uomini somali – come ha spiegato la giornalista Amina Musse Wehelie – appositamente educate per prendersela con le attiviste femministe. Nel caso di Hanna Paranta, come ha raccontato lei stessa, le donne sarebbero state indotte a credere prima che traffica organi, poi che vende donne somale come lavoratrici del sesso e – infine – che cerca di convertire i somali in cristiani.

«Raggiungeranno le madri single senza lavoro o parenti stretti. Donne che si sentono sole e lontane dal loro paese d’origine, la Somalia – ha spiegato la giornalista – convincendole del fatto che sono speciali e che possono fare qualsiasi cosa. In seguito In seguito, le convincono a lavorare per loro e offrono loro del denaro». Ecco da dove arriverebbero la quantità di bufale e bugie diffuse negli ultimi mesi sugli attivisti somali, Hanna Paranta compresa. Oltre alle segnalazioni di massa, quindi, c’è una campagna diffamatoria che non fa che aumentare il numero di persone che segnalano l’attivista credendo alle bugie che vengono diffuse.

E Facebook?

In una situazione del genere come si comporta Facebook? L’attivista ha raccontato come ha scelto di procedere a BBC. «Ho iniziato a contattare Facebook a dicembre. Ho detto loro tutto. Che questo gruppo vuole chiudere la mia pagina e mi ha mandato minacce, ma nessuno mi ha ascoltato», ha spiegato Paranta. Che ha portato anche delle prove poiché un suo sostenitore si è unito a un gruppo su Messenger che ha più di 300 membri che prendono di mira le persone segnalandole. Ci sono gli screenshot delle chat in cui le persone discutevano di come erano riuscite a limitare la pagina Facebook si Parenta, progettando come far rimuovere il suo account di Youtube.

Gli screenshot sono stati inviati alla polizia britannica per sporgere denuncia. Facebook, almeno finora, ha bannato il suo account e ha risposto in maniera blanda alle segnalazioni della donna (tra risposte da diversi dipartimenti e bot). A questo punto abbiamo, da un lato, l’attivista che dice di essere vittima di ban perché i suoi post appaiono in maniera meno frequente rispetto a prima nel feed dei suoi seguaci, non riesce ad arrivare a nuovi follower né ad ottenere la spunta blu. Dall’altro c’è Facebook, che tramite un portavoce ha sottolineato di aver rimosso «i contenuti in violazione portati alla nostra attenzione, e le nostre indagini non hanno trovato restrizioni attuali sugli account degli attivisti in questione».

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