Non è corretto dire che il quesito per il referendum sulla cannabis «era scritto male»

Facciamo una valutazione a partire dai fatti: dalle frasi contenute all'interno del quesito, fino alla legge che intendeva colpire, passando da quello che può fare un referendum

17/02/2022 di Gianmichele Laino

Occorrono più di due righe e molto più del solito spottone «lei è libera di fumarsi le canne, io sono contro ogni tipo di droga» per afferrare un concetto complesso come quello della bocciatura del referendum sulla cannabis legale. Nella giornata di ieri, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il quesito referendario. Durante una conferenza stampa – già di per sé dai toni irrituali – il neo presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato si è lasciato andare alla seguente dichiarazione in merito al quesito sulla cannabis legale:

Errore quesito cannabis? Le cose non stanno proprio così

Secondo il presidente della Corte costituzionale, il riferimento nel testo del quesito a un articolo della legge sul divieto di utilizzo delle sostanze stupefacenti (nella fattispecie al comma 1 dell’articolo 73) poteva essere esteso anche ad altre coltivazioni che sono propedeutiche alla preparazione di sostanze stupefacenti, come la pianta della cocaina o il papavero da oppio. In questo comma 1 si farebbe riferimento a un elenco di sostanze stupefacenti contenuto all’interno di una serie di tabelle allegate alla legge, nella fattispecie le tabelle 1 e 3. Stando a quanto affermato da Giuliano Amato, la cannabis sarebbe stata inserita all’interno della tabella 2 (non presa in considerazione, dunque, dal quesito del referendum).

Tuttavia, la lettura data dai proponenti del referendum sulla cannabis combinava il comma 1 con il comma 4 (presente nel secondo sottoquesito), all’interno del quale si fa riferimento alla pena per la coltivazione delle sostanze stupefacenti. Tema che è presente nel comma 1: secondo i proponenti, dunque, i due commi non potevano essere letti separatamente, ma soltanto in connessione l’uno con l’altro.

Per rendere più agevole quello di cui stiamo parlando, inseriamo innanzitutto il quesito referendario:

“Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309,  avente ad oggetto “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza“, limitatamente alle seguenti parti:

Articolo 73, comma 1, limitatamente all’inciso “coltiva”;

Articolo 73, comma 4, limitatamente alle parole “la reclusione da due a 6 anni e”;

Articolo 75, limitatamente alle parole “a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni;”?”

L’articolo 73, al comma 1 prevede questa dicitura: «Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000». L’intento dei proponenti era quello di eliminare la parola “coltiva”.

Il comma 4 dell’articolo 73, invece, è il seguente: «Quando le condotte di cui al comma 1 riguardano i medicinali ricompresi nella tabella II, sezioni A, B, C e D, limitatamente a quelli indicati nel numero 3-bis) della lettera e) del comma 1 dell’articolo 14 e non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 17, si applicano le pene ivi stabilite, diminuite da un terzo alla metà».

Le famose “tabelle” su cui c’è stata confusione possono essere consultate al seguente link del ministero della Salute, con tutti gli ultimi aggiornamenti. Generalmente, nella tabella I sono presenti sostanze come oppio e derivati oppiacei (morfina, eroina,metadone ecc.), foglie di Coca e derivati, amfetamina e derivati amfetaminici (ecstasy e designer drugs), allucinogeni (dietilammide dell’acido lisergico – LSD, mescalina, psilocibina, fenciclidina, ketamina ecc.); nella tabella III sono elencati i barbiturici; nella tabella II, effettivamente, è presente la cannabis.

Non dimentichiamo cosa può fare un referendum in Italia: abrogare una legge già esistente

Qual è il problema, allora? Dobbiamo ricercarlo nella natura stessa dei referendum che, in Italia, sono abrogativi. I quesiti abrogativi, infatti, si devono basare sulla legge preesistente. L’unico appiglio che i proponenti avevano per proporre un quesito bilanciato era quello di unire gli effetti dell’abrogazione delle parole presenti all’interno dei commi 1 e 4 dell’articolo 73, per evitare le penalizzazioni rispetto alla coltivazione. Il fatto di aver escluso soltanto la coltivazione di sostanze dal comma 1 significa che, pur in presenza di coltivazioni di oppio e di coca, la loro trasformazione in sostanza stupefacente (che può avvenire soltanto attraverso complessi procedimenti chimici) sarebbe stata comunque vietata. L’obiettivo dell’eliminazione del termine “coltivazione” dal comma 1, invece, serviva proprio a permettere di legalizzare la cannabis, richiamata dal comma 4. È la legge che non fa riferimento alla tabella II nel comma 1, insomma, e non è stato un errore materiale e grossolano di chi ha scritto il quesito referendario.

Da questo punto di vista, è utile sottolineare il parere di Andrea Pertici, uno dei due difensori del Referendum Cannabis Legale in Corte costituzionale: «Non c’è stato errore – ha scritto in un post su Facebook -. È semplicemente stato proposto il referendum sulla normativa che c’è, perché d’altronde per ora abbiamo solo il referendum abrogativo e da lì bisogna far uscire la nuova disciplina, in base alle norme che ci sono. Alla Corte è attribuita la funzione di giudicare dell’ammissibilità del referendum. A volte in passato è andata certamente troppo oltre. E non lo dico io, ma davvero tutti i costituzionalisti. A volte ciò è successo perché ha voluto esaminare la legittimità costituzionale della legge come eventualmente risultante dal referendum. E questo è particolarmente sbagliato».

L’errore di comunicazione di Giuliano Amato

Cos’altro è a essere sbagliato? La comunicazione del presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato che, parlando esplicitamente di referendum sulle sostanze stupefacenti e non sulla cannabis (eppure, era chiarissimo sin dall’inizio che il titolo del referendum era Abrogazione parziale di disposizioni penali e di sanzioni amministrative in materia di coltivazione, produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti ed era stato già ritenuto corretto dall’ufficio centrale referendum della Cassazione), attribuendo di fatto ai promotori l’errore di aver confuso le tabelle delle sostanze stupefacenti, ha contribuito a gettare discredito nei confronti dei proponenti e anche dei firmatari della proposta di referendum, non prendendo – invece – sufficientemente in considerazione i limiti della legge su cui il quesito referendario andava ad agire. E questo è davvero il passaggio meno digeribile, anche per il futuro della Corte Costituzionale in Italia.

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